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La saga dei Fanes - Le vicende narrate

L'ultimo re


La leggenda vera e propria prende inizio quando l’ultima regina dei Fanes, desiderando trovarsi un marito fuori della tribù, come voleva la tradizione, decise saggiamente di cercarselo tra i Caiutes, il più potente tra i popoli confinanti, la cui aristocrazia era già di stirpe paleoveneta.

Questa e le successive considerazioni discendono dal passo in cui si dichiara che la Tsicuta era stata un tempo fidanzata del re dei Fanes: una così illuminante e capitale affermazione viene lasciata cadere in modo tanto casuale, e risulta tanto avulsa dal contesto, da indurre fortemente a ritenerla una circostanza reale riferita con grande imbarazzo, piuttosto che un elemento letterario rimasto rimasto privo di sviluppi.

Il re dei Caiutes designò per questo onore un amico fidato, plausibilmente un suo stretto parente, affidandogli l’incarico politico di portare lentamente anche i Fanes sotto l’influenza paleoveneta, e trascurando che il prescelto avesse già un legame sentimentale con una nobile Cajute, appartenente ad un collegio sacerdotale [o che si accostò al sacerdozio dopo essere stata abbandonata]. I due tuttavia non dovettero peraltro rinunciare ad incontrarsi ancora di nascosto.
Il nuovo re dei Fanes si trovò dunque ad essere lo sposo riluttante della matriarca ed il capo militare di una tribù assai più povera ed arretrata del suo popolo d’origine, agitata da conflitti sociali e desiderosa di procurarsi gloria e bottino compiendo scorrerie anche contro i Caiutes stessi ed i loro alleati. La sua prima mossa politica fu quella di cercar di entrare nelle grazie dei giovani guerrieri, appoggiando la loro visione istituzionale – basta con le marmotte e col matriarcato, - procurando loro delle armi migliori, anche saccheggiando gli antichi depositi sacri sul fondo dei laghi, e guidandoli in battaglia con mano sicura contro i vicini delle valli settentrionali non legati alla confederazione paleoveneta.

Uno dei punti più incerti dell’intera saga è costituito dall’effettiva composizione della progenie della coppia reale; seguiremo qui, - demitizzandole - le affermazioni proposte dalla leggenda, peraltro nella consapevolezza che a questo proposito tanto il mito quanto la necessità di abbellire possono aver indotto i narratori ad operare delle pesanti deformazioni.

Al re nacquero due figlie, una delle quali – pare – fu “scambiata” con le marmotte, ossia portata secondo l’ancestrale e segreta tradizione in una caverna, a vivere la vita delle marmotte, in modo che l’altra, di nome Dolasilla, incarnasse in cambio una marmotta essa stessa, assumendo quindi la sacralità necessaria per ascendere al trono al momento opportuno.
Nacque poi un figlio maschio, che – si dice, perché il rito era tenuto ancor più segreto del precedente – fu “scambiato”, ossia gettato agli avvoltoi, in modo che il fratello che doveva ancora nascere potesse in cambio incarnare l’avvoltoio egli stesso, così come Dolasilla incarnava la marmotta.
E quando questo fratello nacque, qualche anno dopo, il re proclamò l’avvoltoio nuovo animale-simbolo dei Fanes, sottintendendo con ciò la fine del matriarcato e designando implicitamente l’ultimo nato come erede al trono.
Questa soluzione non poteva ovviamente star bene alla giovane Dolasilla, che appena ne ebbe l’età decise di far valere i propri diritti nell’unico modo che le pareva possibile: visto che suo padre stravedeva tanto per i guerrieri, e proclamava che solo un buon guerriero avrebbe potuto reggere il timone dello stato, bene: avrebbe combattuto anche lei, e gli avrebbe mostrato di che pasta fosse fatta.

Quanto è “reale” la figura di Dolasilla, quanto è importata da archetipi greco-balcanici, e quanto è frutto di abbellimenti letterari? Non abbiamo alcun indizio sicuro per dirlo. Certo che, se nella storia sono stati introdotti degli abbellimenti, è proprio lei la più ovvia candidata ad esserne stata oggetto. Che una figlia della regina destinata al trono esistesse, è plausibile ed è probabile; che abbia dato di piglio ad un arco, abbia posseduto delle frecce di qualità superiore, con esse abbia contribuito alle vittorie dei Fanes ed infine sia caduta nella battaglia che segnò la fine del suo popolo, non è affatto inverosimile. Puzzano invece di bruciato non solo i suoi stereotipi attributi di grande bellezza, abilità e forza fisica, ma anche alcuni dubbi elementi del suo corredo, come la corazza e la Raietta. Continueremo peraltro a finger di credere alla leggenda, o a quanto di essa rimane dopo la discussione analitica dei capitoli precedenti.

La ragazza si esercitò con l’arco, si procurò delle frecce eccellenti facendo montare delle punte metalliche di recupero su certe ottime aste di canna, si fece costruire una corazza con delle lamine di uno strano metallo duro che avevano rubato ad un fonditore girovago, e fu pronta per scendere nella mischia.
La presenza in campo di un arciere – ed un buon arciere, perché Dolasilla dimostrò effettivamente una mano ferma ed un’ottima mira – costituì una sorpresa tattica dirompente per le piccole tribù nemiche. Del resto, nessuno dei guerrieri maschi avrebbe osato in risposta por mano ad un arco, anziché impugnare la classica lancia o la spada: tutti avrebbero riso della sua ritrosia ad affrontare il nemico in duello a viso aperto e lo avrebbero tacciato di viltà. Pertanto le frecce di Dolasilla aprivano incontrastate cospicui vuoti nei ranghi nemici, facilitando in ogni scontro la vittoria dei Fanes, che provvedevano poi a saccheggiare debitamente i villaggi dei vinti.
Così, dopo un certo numero di battaglie il re, assai fiero di quella figlia che era diventata l’idolo dei giovani guerrieri, e constatato che al contrario il principe, avvoltoio o no, non sembrava promettere poi molto bene, decise di soprassedere per il momento al programma di abolizione del matriarcato e restituì ufficialmente a Dolasilla l’investitura ad erede della corona.