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La saga dei Fanes - Gli studi sulla leggenda

La mia proposta metodologica

 

Fin dal momento della pubblicazione la saga dei Fanes ha attirato l’attenzione di molti sia per il suo intrinseco valore poetico, sia per il fascino dell’ambiente in cui la vicenda si svolge, sia anche per l’intrigante interrogativo che sorge spontaneo, “sarà poi successo davvero?”
Una simile domanda non può che suscitare notevoli perplessità. Ulrike Kindl, che ha analizzato molto profondamente le saghe di Wolff da un punto di vista sostanzialmente filologico, conclude per l’essenziale impossibilità di trovarvi una risposta, anzi, per l’assurdità del tentativo stesso in quanto, ella dice, la leggenda è “verità immaginaria”, non la rappresentazione di reali fatti storici. Effettivamente una leggenda è sempre il risultato della continua rielaborazione, avvenuta nel corso dei secoli, di un racconto che può aver preso lo spunto anche dalla pura fantasia, o peggio da un intricato miscuglio di fantasia e di realtà; e dunque il tentativo di leggerla come se si trattasse del mero resoconto di un fatto di cronaca non può che condurre inevitabilmente in un cieco e vano labirinto di illazioni e di illusioni.
Vi è tuttavia almeno un fatto concreto indiscutibile, ed è che che la leggenda, nel nostro caso la leggenda dei Fanes, esiste. Non c’è ragione al mondo per cui si debba considerare inutile a priori il tentativo di approfondire razionalmente, analiticamente, come e perché questo evento sia venuto a verificarsi: quali circostanze, nella sfera del reale o dell’immaginario, possano aver innescato il procedimento, e quando; e come il racconto si sia sviluppato e distorto ed alterato nel tempo, fino ad assumere la forma nella quale si presenta oggi ai nostri occhi. La nostra operazione non può ovviamente partire che dall’esame delle strutture e dei contenuti della leggenda quale essa ci è pervenuta, ma per non restare un vuoto gioco di paroloni e di elucubrazioni astratte deve rapidamente trovare il modo di ancorarsi ad un solido sistema di coordinate; e questo non può che essere costituito dalla successione di ambienti culturali in cui la leggenda stessa in un primo tempo si è formata, e che ha quindi attraversato nel suo venir tramandata nel corso dei secoli.
Nell’analisi della leggenda è infatti opportuno distinguere innanzi tutto fra la discussione critica del significato eventualmente attribuibile alle situazioni descritte (siano o meno riconducibili a fatti reali) e la ricostruzione dello scenario culturale in cui esse risultano inserite: scenario che viene a comporsi da una parte correlando assieme i tanti piccoli dettagli “di ambientazione”, spesso disseminati dai primi narratori senza darvi troppo peso, in quanto parte ovvia del loro mondo, e poi riportati dai narratori successivi per consuetudine, a volte senza più nemmeno comprenderne il significato primitivo; e dall’altra parte verificando l’assenza di quei diversi dettagli che non sarebbero potuti mancare se la leggenda si fosse originata in un’epoca ed in un contesto differente.
L’importanza capitale di questo contesto culturale rintracciabile “tra le righe” della leggenda risiede nel fatto che al termine dell’analisi, mentre sulla pretesa storicità delle vicende raccontate permane, anche nel migliore dei casi, a dir poco un ampio margine di incertezza, al contrario il contesto emerge a volte in maniera limpida e difficilmente equivocabile, alla luce delle conoscenze storiche, archeologiche e così via rese oggi disponibili dalle moderne ricerche. Lo scenario così ricreato non solo consente di datare la formazione della leggenda in modo abbastanza preciso, ma talvolta raggiunge persino il risultato inatteso di delineare indirettamente almeno i contorni schematici proprio di quegli avvenimenti “storici” che potrebbero verosimilmente aver stimolato la sua origine. E’ esattamente questo ciò che accade nel caso del regno dei Fanes.

E’ pur sempre estremamente probabile che parecchie leggende arrivate fino a noi abbiano davvero poco a che vedere con eventi realmente avvenuti: miti, favole, o anche semplici invenzioni a glorificazione di un eroe o di un antenato, o una sovrapposizione di questi elementi tra di loro. Proviamo tuttavia ad invertire il ragionamento. Anche in una società dotata di scrittura, ed a maggior ragione in una società che ne sia priva, il verificarsi di un avvenimento degno di nota, di un fatto “storico”, provoca la sua memorizzazione da parte delle persone che vi hanno assistito e la sua narrazione agli altri che invece non ne sono stati testimoni. Questo non rappresenta ancora la nascita di una leggenda, ma ha già tutti i requisiti per poterlo diventare, in condizioni socio-culturali a ciò favorevoli. Possiamo pertanto affermare che, almeno alla base di almeno alcune delle leggende che ci sono arrivate da un passato non sempre a prima vista definibile, potrebbero esserci stati effettivamente degli avvenimenti che oggi percepiremmo come storici. Esempi di leggende a lungo ritenute soltanto dei miti, e poi confermate da inconfutabili prove archeologiche, non mancano certo: da Troia alla Roma dei primi re. Ovviamente il procedimento attraverso cui la narrazione di un evento realmente accaduto può diventare leggenda è lungo, è complesso, e coinvolge una pesante e ripetuta distorsione delle testimonianze originarie, che a loro volta potevano non essere completamente veritiere ed esaustive. Tuttavia, se abbiamo una certa conoscenza tanto dei processi psicologici e motivazionali che portano alla trasformazione di un fatto storico in leggenda ed alle successive modificazioni della medesima, quanto degli scenari culturali nei quali questi processi si sono svolti, non è a priori totalmente impensabile di ripercorrere la medesima strada a ritroso, fino ad avvicinarci ad intuire se la leggenda stessa sia stata elaborata o meno a partire da un nocciolo di avvenimenti reali, e quale quest’ultimo possa essere stato. E’ chiaro che mai si potrà giungere a raccogliere con questo sistema delle vere e proprie prove documentali, dotate di valore storico assoluto: nel migliore dei casi ci si troverà con un tessuto di indizi, saldamente collegati però a contesti già noti per altre vie, ed all’interno dei quali essi possono assumere se non altro un valore di indirizzo per ulteriori ricerche. Potrebbe ben darsi peraltro che, alla fine del processo di smantellamento della leggenda, ci si trovi senza nulla in mano, ossia si debba concludere che alla radice di essa non vi è certamente nulla di realmente avvenuto. Qualche volta, forse molto spesso, accadrà proprio così, e sarà paradossalmente la controprova dell’obbiettività del metodo adottato.

Dobbiamo naturalmente guardarci dal commettere il gravissimo errore di voler adattare gli elementi raccolti ad un quadro mentale preconcetto, tanto più se è il quadro che ci farebbe piacere. Per evitarlo non abbiamo altra scelta se non quella di non avere alcun quadro, salvo quello dei fatti oggettivi, tanti o pochi, disponibili in base a fonti totalmente indipendenti; nel caso di una leggenda, i dati geografici, geologici, climatici, archeologici, storici, etnologici, linguistici e quant’altro possa avere qualche pertinenza: col che la nostra ricerca assume un carattere essenziale di interdisciplinarità. Non è ovviamente necessario essere un esperto in ciascuna disciplina (anzi, l’essere specializzato in una o alcune di esse potrebbe portare semmai ad una visione leggermente distorta delle cose): quello che occorre è essere correttamente informati sui risultati di tutte.
Ogni singolo passo della procedura analitica di ricerca sopra descritta dovrà quindi avvenire alla luce di questo quadro di conoscenze indipendenti, oltre che della semplice coerenza interna della ricostruzione, tenendo presente che, qualora sia possibile risalire a più di uno scenario in concordanza con i dati, sarà buona norma non scartarne aprioristicamente nessuno, presentandone i vari esiti come ugualmente possibili, o fornendone al massimo una meditata valutazione di probabilità relativa.
Speciale interesse andrà poi prestato alla presenza di varianti della leggenda; sia che possano essere fatte risalire a versioni diverse dei primi testimoni (e sono le più illuminanti), sia che debbano essere attribuite a tempi successivi, perché in questo caso esse contribuiscono a chiarire la percezione che della leggenda stessa avevano coloro che in una data epoca la raccontavano: ed anche questo può essere significativo per decodificarla.

Desidero ribadire chiaramente che non ho nessuna intenzione di mettere in dubbio i metodi ed risultati delle ricerche antropologiche, quando pongono in luce i meccanismi dell’inconscio collettivo che hanno portato nel tempo ad attribuire particolari connotazioni simboliche a temi, figure o personaggi mitologici o leggendari. Tali ricerche sono rivolte a render conto del significato delle componenti “irrazionali” della leggenda; ed indiscutibilmente si tratta di componenti che sono presenti assai spesso, talvolta in modo esclusivo, talvolta mescolate al ricordo di fatti reali in modo pressocchè inestricabile. Tuttavia la sovrapposizione di queste componenti fantastiche non implica affatto che non ci possa essere stato anche un innesco “storico” ad attivare il meccanismo del racconto; per cui i due metodi di ricerca sono sicuramente complementari e, lungi dal negarsi a vicenda, possono trovare invece grande giovamento l’uno dai risultati dell’altro.

Ritengo che il procedimento che ho descritto, se adoperato con scrupolo, possa portare almeno in qualche caso fortunato a delle proposte interpretative sostenibili e non banali. Premetto che non sono assolutamente uno specialista del ramo: non ho nemmeno idea se quanto ho esposto qui sopra costituisca qualcosa di interamente trito e risaputo, o se contenga anche degli elementi di novità. Ho cercato di applicare questi concetti all’analisi delle storie del regno dei Fanes, – inizialmente quasi per gioco - e le considerazioni cui sono giunto alla fine hanno in parte sorpreso anche me. Non le ritengo ovviamente un punto d’arrivo, ma soltanto una tappa, che spero di qualche interesse e significato, in un processo conoscitivo che in ogni caso è ancora lungi dall’essere concluso.

La fase più delicata del processo attraverso il quale da un fatto storico viene a crearsi una leggenda è indubbiamente quella della prima, al massimo della seconda generazione dopo l’evento: la fase in cui i testimoni oculari sono ancora vivi e, consciamente o meno, “decidono” cosa raccontare e cosa non raccontare ed il modo in cui raccontarlo. E’ nota l’esistenza di fenomeni psicologici per cui, anche in perfetta buona fede ma in genere sulla base delle aspettative dell’uditorio, alcuni episodi o dettagli di episodi possono essere rimossi dalla memoria, ed altri venire persino inventati, al punto che il testimone stesso (in misura ovviamente variabile da un individuo all’altro) può convincersi di ricordare gli eventi in modo differente da come egli stesso li avrebbe, o li ha, riferiti a caldo. Quando poi i testimoni oculari sono più di uno, come in genere accade, e non tutti hanno assistito agli stessi eventi, o vi hanno assistito da posizioni fisicamente o psicologicamente diverse, può facilmente accadere che venga a crearsi un consenso collettivo attorno ad una versione che costituisce una media pesata di varie e diverse testimonianze, e questa finisce col venir raccontata con totale convinzione anche da coloro che, sulla base di quello che avevano visto di persona, ne avrebbero riferita una diversa. Tutto questo succede ancora oggi, e lo vediamo ogni giorno, nelle stanze di polizia e nelle aule dei tribunali. E finora ho parlato solo ed esclusivamente di processi mentali inconsci, cioè assolutamente in buona fede. Occorre poi mettere in conto il fatto certo che almeno una parte dei testimoni oculari ha delle ragioni, buone o cattive, per nascondere consapevolmente alcune parti della verità o per metterne in risalto delle altre, mentre è sicuro che gli episodi rimasti senza testimoni verranno ricostruiti sulla base di pure supposizioni, senza che nessuno si preoccupi di etichettarle come tali. Detto tutto ciò, si può dare per scontato che, già poco tempo dopo i fatti, la versione che ne verrà raccontata dovrà essere accuratamente filtrata per estrarne qualcosa che assomigli a quel che è veramente successo. Non si può peraltro dimenticare che non è attivo solo il processo psicologico del consenso: ci sarà sempre chi si piccherà di raccontare una versione “diversa”, spesso (anche se non sempre) dotata di qualche fondamento: così quello che verrà passato alle generazioni successive sarà una versione “base”, quella ottenuta attraverso il consenso più o meno generale, con un piccolo numero di varianti, divergenti su particolari anche importanti.
Non occorre dire che, se questo vale per la successione degli avvenimenti, vale ancor di più per le motivazioni che hanno portato a quegli avvenimenti, per le intenzioni ed i sentimenti delle persone che li hanno vissuti; intenzioni e sentimenti che fanno parte integrante della storia, anzi le danno senso e spessore, ma che ancor più dei fatti concreti si prestano ad interpretazioni assai diverse tra loro, e ad essere facilmente fraintesi o addirittura stravolti.

E’ sostanzialmente questo il modo in cui nascono le leggende; ma è anche il modo in cui nasce la Storia, perché fino a questo punto il procedimento non è differenziabile, e cambia abbastanza poco anche qualora ci si preoccupi di mettere rapidamente le cose per iscritto. Quando si dice che “la storia la scrivono i vincitori”, si intende sostanzialmente questo: non solo l’interpretazione dei fatti, ma anche i fatti stessi assumono ben diverso colore e ben diverso significato, fino a risultare brutalmente diversi, a seconda della posizione relativa dei testimoni autorizzati a raccontarne, ed anche delle emozioni e delle aspettative dei loro uditori.

Vi è poi il problema di come la leggenda, una volta costituita, possa essere tramandata. Vi è chi afferma che la trasmissione orale dei fatti storici non possa protrarsi oltre la terza o la quarta generazione dopo gli eventi. Altri invece parlano di "tre secoli". Questi limiti sono molto probabilmente ragionevoli, ma solo se vengono riferiti alle memorie “di famiglia” in una società in cui la trasmissione ufficiale della memoria storica è affidata al contrario alla parola scritta, senza che vi sia un vero e proprio concorso sociale all’atto del tramandare e senza che a questa azione sia attribuita alcuna reale importanza per la collettività. Vi sono al contrario numerosi esempi di avvenimenti che, in assenza di annali scritti, sono stati tramandati oralmente per tempi molto più lunghi, anche se a volte pesantemente distorti e trasformati in leggenda o addirittura in mito delle origini. Anche senza andare in società molto lontane da noi, si possono prendere ad esempio le narrazioni attorno alla guerra di Troia prima che Omero componesse l’Iliade, o i racconti sui re di Roma, oggi sostanzialmente confermati dall'archeologia , prima che venissero consolidati dagli storici della tarda età repubblicana.

Non si può tuttavia dimenticare che la creazione di miti - narrazioni che rappresentano essenzialmente un momento esplicativo dei vari perché dell’esistenza, a livello tanto personale quanto sociale, una fonte di certezze, un punto di riferimento concettuale cui si ancora l’intera struttura culturale di una collettività - è una necessità imprescindibile nelle società primitive, e che spesso tali miti vengono eretti proprio attorno alle vicende di grandi uomini realmente vissuti, modificandole secondo il bisogno fino a renderle irriconoscibili e non razionalmente plausibili. Questi effetti andranno rimossi, finchè ciò sia possibile; come pure andranno rimosse le distorsioni eventualmente introdotte a bella posta, per esempio a fini politici.

Se si eccettua quanto sopra, in una società priva di scrittura vi sono buone probabilità che dopo le prime generazioni la leggenda tenda a stabilizzarsi, perché le vicende narrate tendono a diminuire di attualità e quindi non vi sono più interessi ideologici o materiali a modificarne il racconto, mentre al contrario la fedeltà al modello originale è costantemente ritenuta un metro importante della qualità della narrazione, e quindi anche della bravura del narratore. I problemi nascono quando il tempo si allunga, e lo stesso contesto culturale in cui gli eventi si sono verificati viene a modificarsi inesorabilmente. Il significato di numerosi particolari originari può quindi diventare totalmente incomprensibile. Mentre generalmente la trama della leggenda tende a conservarsi, ciò cui si assiste è che quei dettagli, che al narratore appaiono ormai bizzarri ed enigmatici, tendono non tanto a venire soppressi (in omaggio al “principio di conservazione”), ma piuttosto banalizzati, o relegati in un angolo; oppure si ricorre a contorsioni logiche, o persino ad invenzioni narrative totalmente avulse dal contesto originale, pur di giustificarne la presenza alla meno peggio. Si riscontra anche, viceversa, la tendenza piuttosto naturale ad inserire in modo quasi ingenuo particolari descrittivi appartenenti al mondo del narratore, analogamente ai pittori che dipingevano scene bibliche con personaggi in abiti rinascimentali. Queste contaminazioni, che peraltro non hanno alcun impatto sul corso degli eventi narrati, sono abbastanza facili da identificare come tali e quindi da rimuovere, per quanto si corra sempre il rischio di eliminare per errore anche qualche dettaglio che casualmente si inserisca altrettanto bene nel contesto di epoca posteriore quanto in quello originale.
Non difficile da riconoscere, ma invece molto più delicato e forse impossibile da rimuovere, è il fenomeno dell’archetipizzazione dei personaggi. Quelli che un tempo erano stati uomini e donne in carne ed ossa, con una loro personalità, con sentimenti e motivazioni complesse, si appiattiscono via via col tempo e tendono per un verso ad aderire a modelli comportamentali stereotipi, per un altro ad essere identificati col loro ruolo, come burattini o come personaggi della commedia dell’arte. Ciò può spingersi al punto che persino il loro nome può venire completamente dimenticato (processo facilitato quando assieme al contesto culturale cambia anche la lingua in cui la leggenda viene tramandata), oppure essere sostituito da quello di un altro personaggio, non importa se storico o mitico od appartenente ad una diversa leggenda, comunque definente l’archetipo sul quale il personaggio stesso viene irrevocabilmente categorizzato.
Parallelamente accade che delle sequenze di eventi ripetutisi lungo un dato arco di tempo, o svoltisi in più fasi concatenate, coinvolgendo magari personaggi fisicamente diversi ma ricoprenti lo stesso ruolo (p.es. generazioni successive di re), vengano riassunte e sintetizzate come se si fosse trattato di un singolo avvenimento accaduto ad un singolo personaggio, che assomma in sé i caratteri e le azioni di tutti quelli realmente vissuti. In modo particolare è probabile che complessi fenomeni di evoluzione sociale o culturale, che i narratori forse percepiscono intuitivamente come tali, ma che non riescono ad esprimere efficacemente facendo ricorso a concetti astratti (dai quali la leggenda rifugge), vengano condensati nel racconto di un singolo episodio, ottenuto magari distorcendo opportunamente le circostanze di un fatto realmente accaduto, che viene quindi ad assumere un valore di rappresentazione simbolica dell’intero processo.
Peggio ancora, può accadere che un narratore giustapponga od addirittura fonda assieme brani interi di leggende o miti inizialmente del tutto diversi, a fronte dell’identificazione dei personaggi sulla base dello stesso archetipo e di una grossolana corrispondenza situazionale. Si possono creare così delle autentiche chimere narrative, le cui parti possono essere riscomposte solo fidando nella (sperabile) differenza dei contesti; e non senza rischio che nell’operazione qualche brandello rimanga appiccicato dalla parte sbagliata.
Infine non si può affatto escludere che in una certa epoca alcuni eventi o temi della leggenda siano considerati disdicevoli dal punto di vista etico, politico o religioso, e di conseguenza vengano edulcorati o camuffati o addirittura drasticamente soppressi dal racconto.

Detto tutto questo, ai nostri giorni c’è ancora qualche speranza concreta di sbrogliare la matassa, svolgendo il percorso a ritroso e rimuovendo i filtri distorcenti che sono stati consciamente od inconsciamente applicati?
Non si può dare ovviamente una risposta universalmente valida. Innanzi tutto, è chiaro che siamo senza alcuna difesa nei confronti di una leggenda che costituisca, del tutto od in parte, un vero e proprio “romanzo storico”, ossia una narrazione di fatti inventati di sana pianta, ma inseriti con perfetta congruenza nel loro ambiente culturale e materiale, realmente esistito. Occorre tener sempre presente questo rischio, anche se, per fortuna, sembra che questo tipo di racconto, proprio di un contesto intellettuale assai diverso, abbia ben poche probabilità di costituirsi e tramandarsi nel tempo per tradizione orale.
Ciò premesso, cominciamo col dire che la conoscenza completa ed oggettiva dei fatti costituisce per sua natura un limite al quale si può forse tendere, ma che non può mai essere raggiunto, nemmeno raccogliendo immediatamente le deposizioni di tutti i testimoni oculari. Ogni processo successivo di distorsione costituisce un ulteriore elemento incognito, che peraltro può essere corretto, a patto di riconoscerlo come tale e di applicarlo a rovescio, fidando nella conoscenza del contesto storico-culturale che lo ha provocato. Tale ricostruzione sarà tanto più esatta, quanto più precisa sarà la nostra analisi del come e del perché il processo distorsivo originario si sia verificato; ed anche così potremo forse riconoscere, ma ben difficilmente ricostruire, i particolari che siano stati non solo alterati, ma brutalmente eliminati. Occorre anche osservare che, mentre applicando ad un dato scenario un dato filtro si ottiene un risultato univocamente determinato, non è detto che lo stesso identico risultato non possa essere anche ottenuto applicando un filtro, uguale o diverso, ad uno scenario di partenza diverso. Di conseguenza ogni passaggio, anche se siamo in grado di riconoscere la presenza di un effetto distorcente, da una parte aumenta la nebulosità dello scenario iniziale ricostruito, dall’altra introduce una probabilità che nel correggerlo si possa aver commesso un errore grossolano di prospettiva.
Una volta portato a termine, nonostante tutte le difficoltà, il procedimento di ricostruzione del nucleo originario della leggenda, occorre infine capire chi possano essere stati i testimoni, quanta e quale parte della storia ciascuno abbia potuto conoscere direttamente, se e quanto possa aver avuto interesse o compiacimento a distorcere, nascondere od inventare; e quanto il processo del consenso con l’uditorio, ed in che direzione, abbia giocato.
Solo a questo punto si potrà tentar di affermare se dei fatti reali, e quali possano aver giocato un ruolo nella nascita della leggenda.