La
saga dei Fanes - Analisi della leggenda
Il
Regno dei Fanes: 6 - La fine del regno
La
vicenda giunge ormai alla sua tragica conclusione. Si noti come,
ancora una volta, risulti evidente che la testimonianze su cui
la leggenda è fondata sono quelle dei Fanes sopravvissuti.
Di quel che accade nel campo nemico si ha soltanto una ricostruzione
fantasiosa basata su dei sentito dire, mentre l'andamento della
battaglia vera e propria, vista dalla parte dei Fanes, può
essere seguito pressocchè nei dettagli.
Compendio
del testo |
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Osservazioni |
Nel
campo della coalizione, il capitano dei Caiutes
afferma che il re dei Fanes li ha traditi, e Dolasilla il
giorno dopo scenderà in battaglia nonostante tutte
le sue assicurazioni; ma a lui è riuscito, con l’aiuto
degli stregoni, di sottrarre a Dolasilla tredici frecce
"magiche". Consegna una freccia a testa a tredici
arcieri, ordinando loro di uccidere l’eroina.
Al mattino i Fanes si preparano per la battaglia, ma quando
Dolasilla compare, si scopre che la sua corazza è
diventata scura. Lei capisce il significato del prodigio,
ma finge sicurezza perché i suoi non si perdano d’animo.
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Il
"capitano dei Caiutes"
deve essere in realtà il generale inviato dai Paleoveneti
a guidare l'esercito della coalizione. Questo comandante,
che un Cajute non deve essere affatto, ha una pensata tattica
di grande momento: contro l’arciera così temuta,
organizza un reparto di arcieri, tutti dotati di frecce
'magiche', ossia con la punta di metallo. Si osservi che
sia l’istituzione di un reparto di truppe specializzate,
sia l’intuizione che la battaglia possa essere risolta
col “fuoco” anziché con l’urto,
sono concetti rivoluzionari per l’Europa dell’epoca
(nell’Iliade, ad esempio, non compare nulla di simile;
dopo i Romani, ci vorrà parecchio perché essi
vengano compresi ed applicati anche nel medioevo avanzato).
Sul Pralongià
essi costituiranno un elemento decisivo per le sorti della
battaglia. |
Dolasilla
trascina i suoi fin sull’orlo della vittoria. Per
lungo tempo gli arcieri nemici si ingannano sul suo conto,
perché cercano un’armatura bianca e non una
nera. Ma quando capiscono lo sbaglio, concentrano su di
lei le loro frecce. Pur combattendo leoninamente, Dolasilla
cade ed i Fanes si sbandano. Dolasilla muore mentre viene
trasportata al castello. Il suo corpo viene cremato sul
campo. I Fanes sono in rotta. |
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Per
i Fanes, in grave inferiorità numerica, attaccare
il nemico sugli ampi spazi aperti del Pralongià
sarebbe stata una tattica assurdamente suicida. Le vicende
narrate si spiegherebbero molto meglio assumendo che i Fanes
abbiano seguito la proposta del principe aquila (cfr. capitolo
precedente) ed abbiano effettivamente attaccato di notte.
Questa circostanza chiarirebbe come e perché lo schieramento
così preponderante della coalizione si sia fatto
prendere di sorpresa dall’assalto iniziale, fino a
trovarsi sul limite del disastro. Naturalmente, peraltro,
nel buio completo un arciere è del tutto inutile,
e quindi Dolasilla nelle fasi iniziali del combattimento
non interviene neppure. Solo allo spuntar dell’alba
la principessa si lancia invece nella mischia ed ha una
parte nell’ultima carica, quando i Fanes riescono
quasi a travolgere il re dei Caiutes;
ma poi il sorgere del sole rivela agli arcieri nemici la
presenza dell’eroina, e la sua fine diventa inevitabile.
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La
regina dei Fanes assume il comando della difesa del castello.
Giunge notizia che Dolasilla è morta, il principe
ferito. Il castello viene cinto d’assedio. |
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Qui
torna a riemergere la figura della regina, rappresentata
come l’anima della difesa. La strategia aggressiva
(machista e di rapina), identificata col re e con l’avvoltoio,
deve essere nuovamente sostituita da quello scivolare silenziosamente
sotto terra, simboleggiato dalle marmotte e dal matriarcato,
che nel lontano passato aveva già significato per
i Fanes la strada della sopravvivenza
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Il
re dei Fanes, che attendeva sul Lagazuoi l’esito della
battaglia, viene ferocemente schernito dagli alleati vincitori
ed in particolare da Spina-de-Mul, che gli rinfaccia l’esito
funesto del suo tradimento. Ancora oggi il volto del re,
trasformato in pietra con la sua corona di punte, è
visibile sulle rocce che sovrastano il passo di Falzarego.
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Come
nel caso della “Croda Rossa”, la leggenda vuole
spiegare una particolarità naturale (in questo caso
l’effigie di un re abbozzata dalle rocce sopra il
passo) associandola ad un evento, storico o meno, in qualche
modo collegato alla località. E siccome ci si trova
al cospetto di un “falso re”, ossia un re “non
vero”, abbozzato dalla natura nella pietra, e sulla
piazza è disponibile un “re falso”, (dove
qui falso significa “bugiardo”, “traditore”),
ossia il re dei Fanes, ecco che la fine di quest’ultimo
(che era rimasta sconosciuta) viene trasferita d’autorità
sul Lagazuoi, ed il gioco è fatto.
Ora, la “corona di punte” richiama immediatamente
l’immagine di “un re” ad occhi moderni.
Tuttavia i primi a portare tale simbolo furono i re persiani
Sassanidi, che regnarono nei primi secoli del medioevo.
Pertanto tutto l’episodio è stato inventato
di sana pianta dopo le Crociate, che importarono quel simbolo
in Europa, ed innestato nel racconto a posteriori.
La leggenda originale non ci ha lasciato detto nulla sulla
fine del re dei Fanes.
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Commento
La
tragedia, già predisposta nei precedenti capitoli, giunge
alla sua amara conclusione. E' sintomatico come Wolff,
pur a conoscenza dell'accenno ad una battaglia notturna, lasci
cadere lo spunto per tornare ad un combattimento secondo le regole
della cavalleria medioevale. Interessante notare come il suggerimento
provenga dal principe-aquila, che evidentemente ha provveduto
a separare nettamente la propria posizione da quella del padre.
Anche se di un conflitto dinastico non ci viene esplicitato nulla,
pure esso affiora tra le righe, e lo vedremo ancor meglio nel
capitolo successivo.
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