La
saga dei Fanes - Analisi della leggenda
Il
mito del "risorgimento"
La
ricomposizione effettuata da Wolff delle ultime vicende dei Fanes
non è molto chiara; occorre anche tener presente che della
vicenda ci sono arrivate versioni diverse e parzialmente contraddittorie.
Sembra ad ogni modo evidente che, già nel lontano passato,
si volle attenuare l'impatto psicologico della sconfitta e del
massacro introducendo elementi narrativi del tutto sganciati dalla
realtà.
Compendio
del testo |
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Osservazioni |
Mentre
i nemici assalgono il castello dei Fanes, ricompare Lujanta,
che tende l’arco della sorella e li mette provvisoriamente
in fuga. Ma il castello è comunque perduto. La regina
si riconcilia con le marmotte;
queste spiegano a Lujanta
come evacuare dal castello gli ultimi difensori per via
sotterranea, e profetizzano la possibilità di recuperare
il regno perduto.
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La
ricomparsa della Lujanta
non è presente in tutte le versioni della leggenda:
sembra tuttavia che alle radici della storia dovesse trovar
posto una "Dolasilla rediviva" che non si sapeva
bene come giustificare. La riconciliazione con le marmotte
è l'amaro trionfo del partito dei pacifisti (e del
matriarcato), mentre la profezia circa la possibile riconquista
del regno indica come la leggenda cominci a scivolare nella
favola, nel sogno che sia possibile ripristinare i bei tempi
andati idealizzati nel ricordo. |
Gli
ultimi difensori del castello prendono un passaggio sotterraneo,
ma vengono inseguiti. Li salvano i nani, deviando una cascata
(il "Morin di Salvans") in modo che si frapponga
tra loro e gli inseguitori. Infine giungono in una grande
sala, in cui le marmotte
sono in letargo. Intanto i nemici devastano il paese dei
Fanes e si spartiscono il bottino. Spina-de-Mul si riappropria
della Raietta.
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Una
sorta di passaggio del mar Rosso, trasposto in un ambiente
sotterraneo idealizzato e per giunta popolato di nani.
Tutto conduce a vedervi solo un posticcio arricchimento
medioevale. Anche l'opinione che le marmotte
svernino in grandi sale sotterranee è del tutto avulsa
dalla realtà.
Può capitare che la parola "morin",
ossia mulino, venga applicata a canali che non hanno mai
avuto nulla a che fare con un mulino (cfr. Palmieri).
Il toponimo “Morin di Salvans”, da
leggersi "mulino dei nani", designa oggi una sorgente
presso il passo Tadega, all’Alpe
di Fanes grande, dove può forse esserci stata
una canalizzazione, ma non certo un mulino, e dove non c’è,
e ben difficilmente può mai esserci stata, l’imboccatura
di un qualsiasi sistema sotterraneo percorribile. |
Secondo
la profezia delle marmotte,
i Fanes combattono per sette estati, riprendendo ogni volta
la cima di un monte. Ma il principe aquila vorrebbe riappropriarsi
di tutte le conquiste del padre e della sorella; e se ne
va. I Fanes vincono usando la vecchia tattica: colpire di
sorpresa e rifugiarsi nelle grotte, dove trascorrono anche
gli inverni. Poi le marmotte affermano che la guerra sarebbe
finita più presto se Lujanta
avesse sposato Ey-de-Net. Ma questi si è già
accasato con Soreghina.
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Ecco
dipanarsi, fuori da ogni senso logico, l'astratto sogno
del "risorgimento". Ma la dura realtà affiora
tra le righe: le condizioni climatiche sono in rapido peggioramento,
ed i Fanes superstiti sono costretti a passare gli inverni
sotto terra. Sarà questo fattore climatico, da una
parte a ridurre gli altopiani alla desolazione in cui li
vediamo oggi, dall'altra a rendere inimmaginabile qualunque
tentativo di restaurare nella realtà il regno perduto.
Si inserisce a questo punto un nuovo tema esoterico, quello
delle condizioni che devono essere soddisfatte affinchè
sia possibile la rivincita. Anche di questo spunto esistono
numerose versioni, sostanzialmente di due tipi: Lujanta
(o Dolasilla) avrebbe dovuto sposare Ey-de-Net (il personaggio
chiave maschio), oppure un discendente in linea
maschile del re avrebbe dovuto recuperare le frecce
magiche. Quest'ultima condizione sa già di ricerca
in pieno stile arturiano, ma tutto rimanda ad un medioevo
in cui del matriarcato non si conservava più nemmeno
la memoria.
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Nell’isola
degli uomini dall’unico braccio, il principe aquila
si è felicemente sposato. Dopo tre anni, giunge l’aquila
della fiamma per riportarlo nel paese dei Fanes e recuperare
le frecce infallibili, con cui sarà possibile restaurare
la grandezza del regno. Ma la moglie, cui era stato predetto
che se il marito fosse partito non sarebbe mai tornato,
la allontana con un pretesto. Prima che passi un altro anno,
lo getta in uno stato di morte apparente, ingannando così
il possente volatile. Altri tre anni passano in questo modo.
Il settimo anno, si sente suonare la fanfara dei Fanes ed
il principe si sveglia di colpo. Il giorno dopo l’aquila
torna e lui saluta la moglie ed il figlio natogli nel frattempo
(con due braccia), e se ne parte per mai più tornare.
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Questo
passo è completamente immerso in un'atmosfera carica
di simbolismi e magie; la concezione dell'eroismo ed il
rapporto uomo-donna vi sono vissuti secondo canoni tipicamente
medioevali. Cosa fossero stati in origine l'isola lontana
e gli uomini dall'unico braccio, si era ormai perso nelle
nebbie del tempo. Probabilmente il brano è stato
inserito all'unico scopo di creare un artificioso collegamento
tra i Fanes e l'eroe fassano Lidsanel. |
I
Fanes ed i loro nemici giungono all’intesa di far
la pace, restituendo ai Fanes le sole terre che erano state
sempre il loro territorio, ma non le ultime conquiste. Quando
il patto è quasi suggellato, arriva il principe aquila
e manda tutto a rifascio. Visto che l’accordo è
impossibile, viene dichiarata la guerra.
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Sospetto
che questo colloquio di pace si dovesse originariamente
inserire nel corpo della saga dei Fanes, e che sia stato
collocato qui da Wolff
stesso, o da tardi narratori Ladini che avevano ormai smarrito
il senso del flusso degli eventi. Precisamente, mi pare
che esso andrebbe collocato subito prima della battaglia
del Pralongià.
La coalizione dei Paleoveneti
offre ai Fanes ancora un'ultima possibilità di salvezza,
che la regina sarebbe ben lieta di cogliere; ma l'intervento
del principe - indice, tra l'altro, che il conflitto dinastico
si è risolto ed il partito dei guerrafondai patrilinearisti
ha ormai preso in pugno le redini del potere reale - manda
tutto a rifascio. |
Lupi,
corvi ed avvoltoi banchettano sui corpi dei Fanes, uomini
e donne, vecchi e bambini, tutti caduti nell’ultima,
disperata battaglia combattuta nel cuore del paese, sulla
Furcia dai Fers,
contro un’immensa coalizione venuta anche da posti
lontanissimi.
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Anche
quest'ultima battaglia, a mio modo di vedere, dovrebbe collocarsi
nell'ambito della medesima campagna militare che porta alla
disfatta sul Pralongià
ed alla presa delle Cunturines.
Non vi è infatti ragione di credere che la coalizione
si sia accontentata di infliggere una dura lezione ai Fanes,
senza poi portare a compimento il suo compito. Anche la
localizzazione del combattimento indica che i Fanes vennero
incalzati dalle Cunturines
sempre più addentro nel loro territorio, fino a trincerarsi
su una sommità impervia dalla quale però non
non era più possibile fuggire. |
Solo
una ventina fra donne e bambini, comprese Lujanta
e la regina, si sono salvati dal massacro nascondendosi
tra le marmotte. Giunge l’aquila della fiamma portando
il giovane figlio del principe aquila, e predice che il
regno potrà risorgere se il bambino saprà
trovare le frecce infallibili e trovarsi al suo posto quando
le trombe d’argento suoneranno dai monti la “grande
ora”. L’aquila si assume il compito di accendere
ogni anno una sacra fiamma a ricordo del regno dei Fanes,
nonché di portare il bambino a Contrin,
per imparare dal re Odolghes
il mestiere delle armi.
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Qui
ha effettivamente luogo la connessione con l'epopea fassana
di Lidsanel,
che vedremo nel prossimo capitolo, ed al tempo stesso si
fornisce una spiegazione mitica al grande avvoltoio, il
"variul de
la fluta", che rotea periodicamente attorno
ai fuochi fatui sull'inaccessibile parete della Croda
Vanna. |
Ogni
anno, in una notte di luna, la regina e Lujanta
fanno in barca il giro del lago
di Braies, uscendo dalla porta di roccia che ha dato
il nome ladino (Sass dla Porta) alla Croda del Becco. Esse
attendono che il nipote della regina ritorni con le frecce
infallibili. Ma questi non arriva mai. E un giorno scocca
la “grande ora”: dai monti risuonano le trombe
d’argento. Ma non c’è nessuno a rispondere
al loro appello. La regina le ascolta per l’ultima
volta, poi scende a dormire per sempre sul fondo del lago.
Ma un giorno arriverà il “tempo promesso”
in cui tutti risorgeranno per vivere in pace. |
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La
grande e romantica scena finale va a mio avviso collocata
qui, separata dai miti fassani che seguiranno. L'idea della
"grande ora" del destino, che scocca senza che
tuttavia ci sia nessuno pronto ad afferrare l'occasione,
potrebbe anche far parte di una tradizione molto antica,
ma le trombe che squillano fra i monti ed il concetto del
'tempo promesso', in cui tutti risorgeranno in pace, sono
visibilmenti derivati da immagini legate alla religione
cristiana. |
Commento
La
leggenda del regno dei Fanes dopo la battaglia del Pralongià
è disponibile in almeno tre versioni diverse:
1. Versione accolta nella stesura definitiva di Wolff:
Dolasilla muore, ma riemerge Lujanta,
che porta in salvo gli ultimi dei Fanes. Questi si nascondono
mentre i nemici devastano il loro territorio, ma poi cominciano
a rioccuparlo, finchè dopo “sette” estati non
si raduna una nuova coalizione che li distrugge definitivamente
(salvo sogni di riscatto destinati a non realizzarsi mai);
2. Versione raccolta in Fassa da de
Rossi (e sostanzialmente accettata da Wolff
nella sua prima stesura): Dolasilla sopravvive alle ferite e Lujanta
non esiste. Non vi è traccia di una seconda battaglia,
comunque vi è una sola campagna bellica che porta alla
distruzione dei Fanes, dopo di che non restano che i sogni;
3. Versione riportata da Morlang:
Dolasilla muore e Lujanta
riemerge (come nella stesura definitiva di Wolff);
ha luogo invece una battaglia finale alla Furcia
dai Fers poco dopo quella del Pralongià
(dunque una sola campagna, come nella versione di de
Rossi).
La
ricostruzione degli eventi che ho seguito come più logica
e probabile segue dunque la tradizione badiotta riportata da Morlang.
E' chiaro che in Fassa non si sapeva nulla della Lujanta,
così come erano ignoti in generale i temi antropologici
delle marmotte e dei gemellaggi.
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