La
saga dei Fanes - approfondimenti
I nomi di persona nella saga
Sono molto
pochi. Quasi tutti quelli che esistono o sono degli appellativi,
o si possono dimostrare essere spuri. Mancano del tutto i nomi
di numerosi personaggi principali: dal marito di Moltina all'ultima
regina dei Fanes, dal marito di quest'ultima al re dei Caiutes
e via discorrendo. Potrebbero venire in mente le Origines,
la storia di Roma scritta da Catone il Censore senza mai chiamare
i personaggi che col titolo della loro carica pubblica (“il
console”, “il pretore” ecc.). Una delle ragioni
possibili per cui il re e la regina dei Fanes non possiedono un
nome è che essi costituiscano ciascuno, per così
dire, una società in nome collettivo, ossia che siano la
sintesi storica di generazioni di re e regine succedutesi nel
tempo; anche se un’ultima regina ed un ultimo re dovettero
ovviamente esistere e la narrazione dettagliata delle vicende
che posero fine al regno non può che essere riferita a
questi due singoli e determinati individui. Un'altra possibilità,
da non trascurare, potrebbe essere che i Fanes non usassero dei
nomi propri come noi li intendiamo, ma si riferissero alle persone
con degli attributi legati alla loro posizione nella società,
od alle loro caratteristiche fisiche, o ad eventi di cui si fossero
resi protagonisti. Forse tutte queste ipotesi sono almeno in parte
simultaneamente vere. Qui sotto, una breve trattazione sui nomi
- o appellativi - di quei personaggi che ne possiedono uno, a
volte un nome archetipico condiviso tra figure omologhe di epoche
e contesti anche molto diversi fra loro.
Molta
e Moltina:
Siamo in presenza di una struttura anomala, una coppia di nomi
di madre e figlia, in cui quello della protagonista (la figlia)
appare derivato da quello della madre, che però nella vicenda
gioca un ruolo del tutto marginale. Verosimilmente, questa "Molta"
non è tuttavia che un'interpolazione spuria di epoca cristiana,
e non doveva essere presente nel nucleo originale della leggenda.
Non sarebbe assurdo ritenere che il nome “Molta” debba
essere interpretato solo in relazione a ciò che la donna
rappresenta per la figlia, in base ad uno scambio “r”
/ “l”, ossia la madre morta, che l’ha
lasciata orfana e priva di tutto. Se Molta volesse dire “morta”,
Moltina non ne sarebbe certo un diminutivo, bensì piuttosto
la sostantivazione di un aggettivo a sua volta derivato (in latino
o in una lingua molto vicina) dal sostantivo Molta (=morta), per
cui Moltina vorrebbe dire “pertinente alla morta”,
“(figlia) della morta”.
E' tuttavia di notevole interesse la segnalazione (U.Kindl,
com. privata, 2002) dell'esistenza di un dio reto-romano di nome
Moltinus, menzionato su una stele ritrovata in Alto Adige
ed equiparato a Mercurio in quanto dio dell'abigeato, ma anche
protettore degli armenti (Moltinus è in origine una
divinità celtica, che compare in Francia ed in Austria,
in genere però accostato piuttosto a Marte che a Mercurio).
Qualunque fosse stato il nome originario della fondatrice del
regno dei Fanes, ammesso che ne avesse realmente posseduto uno,
non si può dunque escludere che in epoca retica le sia
stato assegnato un appellativo volto a rinforzare la sua sacralità
associandola ad un dio. Molto più tardi, ormai dissoltosi
il ricordo di Moltinus e trovandosi nella necessità di
inserire nella narrazione una madre di Moltina, potrebbe essersi
fatto ricorso a questo "Molta", totalmente inventato,
allo scopo di costruire a bella posta la fittizia struttura semantica
di cui sopra.
Dolasilla:
Tra personaggi senza nome e personaggi chiamati solo con un appellativo,
Dolasilla appare l’unica in famiglia a possedere un nome
“vero”. Ma sarà poi così? Forse “Dolasilla”
(a volte anche Doresila) era anch’esso un attributo.
K.F.Wolff tentò
di spiegare "-sila" attraverso l'assai dubbia
assonanza con "sala", associando dunque Dolasilla
all'acqua ("sala" in Ladino significa canale
del mulino, o canna della sorgente). La radice “-sill”
compare però anche nell’antico ladino (o meglio tardo
“reto”?) “fursill”, che significa
“ferro". “Sill” significava forse
“metallo”? C’è un’attinenza e non
solo un’assonanza col tedesco “Silber” (argento)?
"Dolasilla" significava dunque qualcosa come
“cinta di metallo”, o “risplendente di metallo”?
Magari un giorno qualche linguista ce lo dirà.
Lujanta:
“Lujanta” è evidentemente un attributo, che
in ladino significa “lucente”, “radiosa”.
Potrebbe forse estendersi a significare “dalla pelle bianchissima”,
“lunare”. Non si può naturalmente escludere
che il termine “Lujanta”, fosse o meno un aggettivo,
venisse davvero usato anche come nome proprio (cfr. anche Il
destino della Lujanta).
Ey-de-Net:
significa letteralmente Occhio di Notte, ma si potrebbe
anche leggere come Occhio della Notte. Morlang
usa “Edl de Net”, assolutamente analogo.
Wolff lega il nome
al primo significato, col valore di “colui che vede nella
notte”. La Kindl
suggerisce anche la seconda ipotesi, che darebbe al nome un simbolismo
lunare. Non si dimentichi che Ey-de-Net (anche se probabilmente
un altro Ey-de-Net!) sposerà Soreghina,
la figlia del Sole. Linguisticamente, la lezione più semplice
e diretta sembrerebbe anche la più probabile, ma una sottigliezza
di questo genere, legata a significati probabilmente in gran parte
già perduti, avrebbe potuto passare tranquillamente inosservata
ai narratori ladini.
Spina-de-Mul:
Morlang usa il
termine “Spina de Müsc”, ossia scheletro
d’asino. Per lo stregone in sé non cambia
molto, ma l’assenza del “mulo” evita di dover
collocare forzatamente il mago in un’epoca nella quale venissero
allevati i cavalli. Non si può neppure escludere che il
nome originale pre-ladino facesse riferimento ad ancora un altro
quadrupede (p.es. un cervide) e sia stato tradotto in modo approssimativo
(Palmieri).
La
Tsicuta:
versione locale del termine cicuta, la nota erba velenosa, famosa
perché Socrate fu messo a morte con un suo infuso. Da una
parte, si allude evidentemente ad una particolare maestria nell’uso
delle erbe; dall’altra, ad un loro uso socialmente non molto
raccomandabile. Può anche darsi che, almeno inizialmente,
“Cicuta” non fosse che un nomignolo ben azzeccato
per designare una persona dal carattere scorbutico e mordace,
come ad esempio quel calciatore Lorenzi, dell’Inter degli
anni ’50, che fu soprannominato “Veleno”.
Il
Vögl delle Velme:
Vögl significa vecchio; ma cosa sono le
velme? Palmieri
traduce il termine ladino interpretandolo come riferito agli accumuli
conici di fieno pressato, così comuni nelle aie. Si può
osservare che la forma di questi è pressocchè identica
a quella di un forno fusorio preistorico. Il termine è
passato per analogia dall’uno all’altro oggetto? Lo
stesso Palmieri
(Le antiche voci dei Monti Pallidi) cita la leggenda
tedesca dei Venediger Mandl, interpretati come minatori
paleoveneti del tardo Bronzo : "...accendono un grande falò
in un fienile, senza che la paglia prenda fuoco".
Odolghes:
nome attribuito al mitico re di Contrin,
in realtà derivante da quello di un leggendario duca baiuvaro
Adelger, attraverso il longobardo Adalgais (cfr.
trattazione separata in Odolghes).
Sommavida:
la principessa dell'Aurona
recuperata alla luce del sole da Odolghes.
Il nome, chiaramente neolatino (summa nel senso di punto
più alto, passo montano, è abbastanza comune in
Ladino), potrebbe far riferimento alla foresta Sommadida,
vicino ad Auronzo, di cui potrebbe essere una variante od una
semplice storpiatura, magari dovuta allo stesso Wolff.
Non lontano dalla foresta Sommadida vi è in effetti l'ingresso
di una famosa miniera, che pare possa aver portato il magico nome
di Aurona -
pur senza volerla identificare per questo col mitico archetipo
di tutte le miniere, più facilmente riferibile alla valle
del Cordevole.
Lidsanel:
Il
nome Lidsanel è certamente tardo-medioevale. La parola
francona “lizza” significava infatti in origine “palizzata”,
e solo in seguito indicò il tratto compreso tra due concentriche
cinte di mura, che veniva mantenuto accuratamente sgombro per
non offrire riparo ad un eventuale nemico che vi fosse penetrato,
ed era quindi ideale per ospitarvi giostre e tornei. Quindi l’identificazione
lizza=torneo presuppone un’architettura militare che non
si sviluppò prima del 1100 – 1200. Almeno il nome
dell’eroe, quindi, non è coevo ai supposti Arimanni.
Merisana:
in Merisana possiamo facilmente leggere un latino “Meridiana”,
attraverso il ladino “Merijana”.
Soreghina:
il nome di Soreghina, di solito posto in relazione con soredl,
sole (=”l’occhio di sopra”?), potrebbe anche
essere letto come sora-ega, ossia “sull’acqua”.
Si noti poi che l’aggettivo che sempre accompagna Soreghina
è lujenta, luminosa, ossia l’attributo della
sorella-marmotta di Dolasilla!
Coincidenza?
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