La
saga dei Fanes - Analisi della leggenda
Il "mito delle origini": La Croda Rossa
La
leggenda della "Croda Rossa", che Wolff pubblicò
separatamente dalla saga dei Fanes vera e propria pur riconoscendone
l'attinenza, potrebbe sembrare un classico esempio di mito
portato a spiegazione di un fenomeno naturale. Tuttavia,
al di là di questo, esso costituisce il vero e proprio
"mito delle origini" del popolo dei Fanes, il
racconto che conferisce un significato sacrale alle istituzioni
basilari della loro società. |
La
rocca sulle Cunturines venne costruita sull’archetipo
di quella dei Landrines, ossia nell’androne di
una grotta? Naturalmente non dobbiamo attenderci nulla
di simile ad un castello medioevale, e probabilmente
nemmeno ad un castelliere: piuttosto un luogo abitabile
naturalmente isolato e ben difendibile, come un vasto
cengione, forse con un ingresso di grotta, o riparato
almeno parzialmente da un tetto di roccia. Un valido
esempio potrebbe essere trovato nella Roque-St.Cristophe
(valle della Vézère, Francia), che fu
abitata più o meno ininterrottamente dal Musteriano
fino ad oltre il medioevo. Forse il villaggio dei Fanes,
di cui la rocca costituiva l’ultima difesa, occupava
la parte alta del vallone delle Cunturines oggi noto
con lo strano nome di “Busc da Slü”
(= buco da chiudere; sembra che il nome debba essere
fatto risalire ad una tecnica 'di massa' di caccia al
camoscio), dove almeno una grotta in parete c’è
effettivamente.
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Compendio
del testo |
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Osservazioni |
In
una grotta sotto la montagna oggi chiamata Croda
Rossa viveva un tempo un’anguana. |
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Le
anguane
sono presenti in numerose leggende e modi di dire diffusi quanto
meno nell'intero nord-est italiano, e possono essere facilmente
ricollegate a figure simili presenti nelle mitologie greca, italica
e balcanica. |
Ogni mattina, circondata dalle marmotte,
salutava il sorgere del sole sulle sponde di un laghetto. |
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Da
vari passi delle leggende dolomitiche, l'adorazione del Sole sembra
essere stata in stretta relazione col culto
delle acque. Quanto alle marmotte,
si deve intendere che esse riconoscano l’anguana
come ministra del culto cui partecipano. |
Un
giorno, una donna del posto (la
'Molta'),
che si era recata in terre straniere, ritorna con una figlia appena
nata, e subito muore. |
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Questa
figura incolore, estranea al contesto, più adatta ad un
racconto moraleggiante di epoca cristiana, sembra inserita pretestuosamente
per giustificare che l'anguana
si ritrovi a dover allevare una bambina. In origine, questa doveva
essere figlia naturale dell'anguana.
Poi, forse addirittura in tempi di controriforma, questo fatto
venne considerato gravemente scandaloso perchè poteva essere
facilmente letto come 'la figlia della suora' e fu accuratamente
rimosso con l’invenzione della 'donna perduta'. |
L’anguana
adotta la bambina, che cresce assieme alle marmotte:
Moltina. Essa apprende
i modi e la lingua delle marmotte,
fino ad essere in grado di trasformarsi in una di loro. |
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Il
passo pone il fondamento del "gemellaggio" della regina
dei Fanes con le marmotte,
che si svilupperà successivamente e che viene posto alla
radice dell'alleanza sacra con quegli animali, un'evidente forma
di totemismo
non dissimile da quella di altri popoli italici (Piceni - picchio,
Latini - lupo ecc.). |
Un giorno
il principe dei Landrines
la vede e se ne innamora. I
due decidono di sposarsi, nonostante i dubbi dei familiari del
principe.
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Iniziano
così a delinearsi le basi sacrali di due altre peculiarità
istituzionali dei Fanes, ossia la matrilinearità
e l'esogamia
della regina. Si osservi tuttavia come la prima mossa (il principe
che porta la sposa al suo castello) indichi una iniziale patrilocalità,
tuttavia avversata dagli stessi Landrines
e destinata a non funzionare: la sposa dovrà tornare ai
suoi monti. |
Moltina
afferma che non solo le marmotte,
ma anche la montagna stessa partecipa della sua felicità. |
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Da
questa consonanza spirituale con la montagna, abbastanza sconcertante
ed estranea a quanto detto finora, si prenderà spunto per
giustificare il colore rosso che la montagna verrà ad assumere. |
Dopo
le nozze, Moltina vive
serena al castello. Ogni sera accende un gran fuoco per salutare
la sua montagna. |
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Pare proprio
un accenno ad un “Brandopferplatz”,
un tipico rogo rituale dell’età del Bronzo e del
Ferro, di cui abbiamo numerose testimonianze archeologiche anche
nelle Dolomiti.
Si potrebbe supporre pertanto che il rogo, nella radice primordiale
della leggenda, fosse in realtà un rituale di adorazione
della montagna.
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Un giorno
c’è un raduno di regine ed a ciascuna viene proposto
di raccontare la storia dei propri antenati. Moltina
non ne ha, e se ne vergogna mortalmente.
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Il "raduno
di regine" indica che il matriarcato è diffuso tra
tutti i popoli della zona. In un simile contesto sociale, sembra
difficile attribuire la vergogna di Moltina
alla mancanza di nobili antenati (come sarebbe accaduto, al
contrario, in epoca medievale); piuttosto si potrebbe considerare
che Moltina è
l'unica del consesso ad aver rinunciato alla matrilocalità.
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La situazione
viene salvata da un prodigio: la montagna di fronte, partecipe
dei sentimenti di Moltina,
è diventata rosso sangue come il suo volto. Moltina
approfitta della confusione per trasformarsi in marmotta
e fuggire sui suoi monti. Il principe la raggiunge e, visto
che la moglie non vuol tornare al castello, decide di restare
con lei.
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Ed
ecco che la montagna diventa rossa. La trasformazione in marmotta
di fronte al pericolo potrebbe sottintendere un comportamento
generalizzato dei Fanes delle origini, ossia quello di nascondersi
nelle grotte dei loro ben carsificati altipiani al sopraggiungere
di un nemico. In ogni caso il risultato finale è il definitivo
reinstaurarsi della matrilocalità
violata: il marito di Moltina
accetta di insediarsi a casa della moglie. |
Una notte
si sente rumore di armi. Sono i Fanes che fanno esercitazioni
belliche, senza possederne i minimi rudimenti. Il principe acconsente
ad istruirli e poi a guidarli in battaglia; riporta la vittoria,
e viene nominato re.
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Compare
l'ultima delle istituzioni fondamentali dei Fanes: il ruolo del
re come puro comandante dell'esercito ("dux bellorum").
Si vuole probabilmente anche sottolineare come, nel corso del
tempo, i Fanes abbiano acquisito quelle capacità militari
che inizialmente mancavano loro del tutto (le "marmotte"). |
Il
principe fa costruire la rocca
sulle Cunturines,
sulle cui mura fa dipingere l'emblema della marmotta.
Da lui e Moltina
prende avvio la dinastia reale dei Fanes, cui l’anguana
predice gloria e grandezza. Ma la Croda rimarrà rossa
per sempre.
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I Fanes,
dalla zona originaria di Sennes/Fosses
in cui li abbiamo trovati inizialmente, occuparono col tempo
anche le alpi
di Fanes vere e proprie "dalla parete di Vanna
fino alle cime dentate delle montagne dei Bedojeres
e dei Landrines":
dunque un gruppo di altopiani carsici vasti meno di 150 km²
e posti a quote prevalentemente comprese fra i 1900 ed i 2500
metri.
Qui, affermando che la rocca sia opera del marito di Moltina,
la leggenda probabilmente sintetizza il lavoro di generazioni
nelle mani di un’unica persona. Ma il mito esige che la
"città" dei Fanes venga personalmente fondata
dal marito della capostipite.
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Commento
Si tratta dunque di un vero e proprio "mito
delle origini" dei Fanes che tratteggia, in modo del tutto
coerente, un ordinamento sociale e religioso a sfondo animistico
( totemismo;
matriarcato
esogamico)
già ben noto agli antropologi per essere stato osservato
e studiato presso numerose altre popolazioni. La sua presenza
nell'Europa (quasi) mediterranea ne lascerebbe presupporre la
grande antichità, sebbene nel relativo isolamento delle
Alpi non si possa escludere la permanenza di taluni arcaismi anche
in epoche relativamente tarde. Quanto sopra, tuttavia, coesiste
piuttosto male col tema della montagna che arrossisce.
Quasi tutte le culture hanno fatto (e talvolta
fanno tuttora) ricorso al mito per fornire la "spiegazione"
di un fenomeno naturale fuori dal normale, di cui non riescono
a darsi conto altrimenti. Restando nell'ambito della raccolta
di Wolff, questa
tipologia mitica emerge con caratteri di centralità in
diverse altre ben note leggende ladine, dagli stessi Monti
Pallidi all’Enrosadüra di re Laurino, dal cuore
di ghiaccio dell’Antelao
al lago dell’Arcobaleno, che peraltro poco o nulla hanno
a che spartire coi Fanes.
Al contrario, nel seguito della saga dei Fanes questa forma mitologica
comparirà ancora una sola volta, e sempre con le caratteristiche
di una tarda interpolazione avulsa dal contesto e presumibilmente
posticcia (il re
trasformato in pietra). Non è dunque troppo azzardato
avanzare l’ipotesi che miti di questo tipo siano il portato
di uno o più strati culturali diversi e successivi a quello
della prima stesura della saga dei Fanes. Un caso quasi analogo
a quello della Croda Rossa si osserva poi nelle “Nozze
di Merisana”, in cui la favoletta sull’origine
del larice si aggrappa in modo non meno artificioso ad un mito
di ben altro spessore ed antichità.
E' pertanto plausibile ritenere che la versione
originale del mito non dovesse contenere alcun riferimento al
colore della Croda; la storia di Moltina, del resto, "regge"
bene anche se ne viene completamente ripulita. Può tuttavia
risultare interessante osservare che, per "spiegare"
l'origine della montagna rossa, l'autore dell'interpolazione non
fece ricorso all'immagine del sangue versato, per esempio in una
battaglia, come sembrerebbe quasi scontato, bensì al rossore
di un volto. Il tema della "vergogna di Moltina" doveva
dunque essere già ben noto e topograficamente localizzato:
si può ragionevolmente presumere che costituisse parte
integrante della leggenda originaria, anche se le sue motivazioni
dovevano essere del tutto diverse dalla mancanza dei quarti di
nobiltà, come recita il racconto che è giunto sino
a noi, e plausibilmente legate invece alla violazione della matrilocalità.
Per
concludere, l’antichità della storia è dunque
suffragata da molti dettagli che rimandano direttamente all’età
protostorica e che in epoca molto più tarda non sarebbero
stati neanche immaginabili (p.es. il matriarcato, il culto delle
acque e del Sole, il totemismo,
il Brandopferplatz;
dettagli il cui significato reale è stato dimenticato per
secoli e risulta oggi nuovamente comprensibile solo alla luce
di ricerche archeologiche ed antropologiche relativamente recenti.
Soltanto in un secondo tempo venne sovrapposto al mito delle origini
quello sul colore della Croda Rossa (che ricorda da vicino quello
dei “Monti
Pallidi") e venne assegnato un nome alla protagonista,
per inciso quello di un dio; molto più tardi, forse in
epoca medioevale, vennero radicalmente alterati tanto il motivo
della “vergogna” di Moltina quanto la sua maternità.
Sono inoltre facilmente identificabili, sparsi qua e là
per il racconto, anche numerosi riferimenti alla vita medievale
di corte e di caserma: ma questi sono meri dettagli di facciata
e possono essere stati aggiunti a titolo di abbellimento da narratori
molto recenti, se non addirittura dallo stesso Wolff.
Fattane dovuta pulizia, la storia appare, nella sua descrizione
dell’ambiente (non certo nella trama!), una ricca fonte
di dati originali quasi certamente affidabili.
Si
deve osservare inoltre che la mera esistenza di un tale mito delle
origini costituisce in sè un significativo indizio del
fatto che un "popolo dei Fanes" possa essere effettivamente
vissuto. Ben difficilmente, infatti, i posteri avrebbero potuto
concepire una simile struttura socioculturale se non ne fosse
stata tramandata esplicitamente la memoria; inoltre, l'operazione
di sintetizzare tutto questo in un mito delle origini può
essere stata significativa soltanto agli occhi dei possessori
medesimi di tale cultura.
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