Mappa del sito

Capitolo precedente Indice dei capitoli Capitolo successivo

La saga dei Fanes - Analisi della leggenda

Il "mito delle origini": La Croda Rossa

La leggenda della "Croda Rossa", che Wolff pubblicò separatamente dalla saga dei Fanes vera e propria pur riconoscendone l'attinenza, potrebbe sembrare un classico esempio di mito portato a spiegazione di un fenomeno naturale. Tuttavia, al di là di questo, esso costituisce il vero e proprio "mito delle origini" del popolo dei Fanes, il racconto che conferisce un significato sacrale alle istituzioni basilari della loro società.

 

Compendio del testo
 
Osservazioni
In una grotta sotto la montagna oggi chiamata Croda Rossa viveva un tempo un’anguana.
 
Le anguane sono presenti in numerose leggende e modi di dire diffusi quanto meno nell'intero nord-est italiano, e possono essere facilmente ricollegate a figure simili presenti nelle mitologie greca, italica e balcanica.
Ogni mattina, circondata dalle marmotte, salutava il sorgere del sole sulle sponde di un laghetto.
 
Da vari passi delle leggende dolomitiche, l'adorazione del Sole sembra essere stata in stretta relazione col culto delle acque. Quanto alle marmotte, si deve intendere che esse riconoscano l’anguana come ministra del culto cui partecipano.
Un giorno, una donna del posto (la 'Molta'), che si era recata in terre straniere, ritorna con una figlia appena nata, e subito muore.
 
Questa figura incolore, estranea al contesto, più adatta ad un racconto moraleggiante di epoca cristiana, sembra inserita pretestuosamente per giustificare che l'anguana si ritrovi a dover allevare una bambina. In origine, questa doveva essere figlia naturale dell'anguana. Poi, forse addirittura in tempi di controriforma, questo fatto venne considerato gravemente scandaloso perchè poteva essere facilmente letto come 'la figlia della suora' e fu accuratamente rimosso con l’invenzione della 'donna perduta'.
L’anguana adotta la bambina, che cresce assieme alle marmotte: Moltina. Essa apprende i modi e la lingua delle marmotte, fino ad essere in grado di trasformarsi in una di loro.
Il passo pone il fondamento del "gemellaggio" della regina dei Fanes con le marmotte, che si svilupperà successivamente e che viene posto alla radice dell'alleanza sacra con quegli animali, un'evidente forma di totemismo non dissimile da quella di altri popoli italici (Piceni - picchio, Latini - lupo ecc.).

Un giorno il principe dei Landrines la vede e se ne innamora. I due decidono di sposarsi, nonostante i dubbi dei familiari del principe.

 
Iniziano così a delinearsi le basi sacrali di due altre peculiarità istituzionali dei Fanes, ossia la matrilinearità e l'esogamia della regina. Si osservi tuttavia come la prima mossa (il principe che porta la sposa al suo castello) indichi una iniziale patrilocalità, tuttavia avversata dagli stessi Landrines e destinata a non funzionare: la sposa dovrà tornare ai suoi monti.
Moltina afferma che non solo le marmotte, ma anche la montagna stessa partecipa della sua felicità.
 
Da questa consonanza spirituale con la montagna, abbastanza sconcertante ed estranea a quanto detto finora, si prenderà spunto per giustificare il colore rosso che la montagna verrà ad assumere.
Dopo le nozze, Moltina vive serena al castello. Ogni sera accende un gran fuoco per salutare la sua montagna.
 

Pare proprio un accenno ad un “Brandopferplatz”, un tipico rogo rituale dell’età del Bronzo e del Ferro, di cui abbiamo numerose testimonianze archeologiche anche nelle Dolomiti. Si potrebbe supporre pertanto che il rogo, nella radice primordiale della leggenda, fosse in realtà un rituale di adorazione della montagna.

Un giorno c’è un raduno di regine ed a ciascuna viene proposto di raccontare la storia dei propri antenati. Moltina non ne ha, e se ne vergogna mortalmente.

 

Il "raduno di regine" indica che il matriarcato è diffuso tra tutti i popoli della zona. In un simile contesto sociale, sembra difficile attribuire la vergogna di Moltina alla mancanza di nobili antenati (come sarebbe accaduto, al contrario, in epoca medievale); piuttosto si potrebbe considerare che Moltina è l'unica del consesso ad aver rinunciato alla matrilocalità.

La situazione viene salvata da un prodigio: la montagna di fronte, partecipe dei sentimenti di Moltina, è diventata rosso sangue come il suo volto. Moltina approfitta della confusione per trasformarsi in marmotta e fuggire sui suoi monti. Il principe la raggiunge e, visto che la moglie non vuol tornare al castello, decide di restare con lei.

 
Ed ecco che la montagna diventa rossa. La trasformazione in marmotta di fronte al pericolo potrebbe sottintendere un comportamento generalizzato dei Fanes delle origini, ossia quello di nascondersi nelle grotte dei loro ben carsificati altipiani al sopraggiungere di un nemico. In ogni caso il risultato finale è il definitivo reinstaurarsi della matrilocalità violata: il marito di Moltina accetta di insediarsi a casa della moglie.

Una notte si sente rumore di armi. Sono i Fanes che fanno esercitazioni belliche, senza possederne i minimi rudimenti. Il principe acconsente ad istruirli e poi a guidarli in battaglia; riporta la vittoria, e viene nominato re.

 
Compare l'ultima delle istituzioni fondamentali dei Fanes: il ruolo del re come puro comandante dell'esercito ("dux bellorum"). Si vuole probabilmente anche sottolineare come, nel corso del tempo, i Fanes abbiano acquisito quelle capacità militari che inizialmente mancavano loro del tutto (le "marmotte").

Il principe fa costruire la rocca sulle Cunturines, sulle cui mura fa dipingere l'emblema della marmotta. Da lui e Moltina prende avvio la dinastia reale dei Fanes, cui l’anguana predice gloria e grandezza. Ma la Croda rimarrà rossa per sempre.

 

 

I Fanes, dalla zona originaria di Sennes/Fosses in cui li abbiamo trovati inizialmente, occuparono col tempo anche le alpi di Fanes vere e proprie "dalla parete di Vanna fino alle cime dentate delle montagne dei Bedojeres e dei Landrines": dunque un gruppo di altopiani carsici vasti meno di 150 km² e posti a quote prevalentemente comprese fra i 1900 ed i 2500 metri. Qui, affermando che la rocca sia opera del marito di Moltina, la leggenda probabilmente sintetizza il lavoro di generazioni nelle mani di un’unica persona. Ma il mito esige che la "città" dei Fanes venga personalmente fondata dal marito della capostipite.

Commento

Si tratta dunque di un vero e proprio "mito delle origini" dei Fanes che tratteggia, in modo del tutto coerente, un ordinamento sociale e religioso a sfondo animistico (totemismo; matriarcato esogamico) già ben noto agli antropologi per essere stato osservato e studiato presso numerose altre popolazioni. La sua presenza nell'Europa (quasi) mediterranea ne lascerebbe presupporre la grande antichità, sebbene nel relativo isolamento delle Alpi non si possa escludere la permanenza di taluni arcaismi anche in epoche relativamente tarde. Quanto sopra, tuttavia, coesiste piuttosto male col tema della montagna che arrossisce.

Quasi tutte le culture hanno fatto (e talvolta fanno tuttora) ricorso al mito per fornire la "spiegazione" di un fenomeno naturale fuori dal normale, di cui non riescono a darsi conto altrimenti. Restando nell'ambito della raccolta di Wolff, questa tipologia mitica emerge con caratteri di centralità in diverse altre ben note leggende ladine, dagli stessi Monti Pallidi all’Enrosadüra di re Laurino, dal cuore di ghiaccio dell’Antelao al lago dell’Arcobaleno, che peraltro poco o nulla hanno a che spartire coi Fanes.
Al contrario, nel seguito della saga dei Fanes questa forma mitologica comparirà ancora una sola volta, e sempre con le caratteristiche di una tarda interpolazione avulsa dal contesto e presumibilmente posticcia (il re trasformato in pietra). Non è dunque troppo azzardato avanzare l’ipotesi che miti di questo tipo siano il portato di uno o più strati culturali diversi e successivi a quello della prima stesura della saga dei Fanes. Un caso quasi analogo a quello della Croda Rossa si osserva poi nelle “Nozze di Merisana”, in cui la favoletta sull’origine del larice si aggrappa in modo non meno artificioso ad un mito di ben altro spessore ed antichità.

E' pertanto plausibile ritenere che la versione originale del mito non dovesse contenere alcun riferimento al colore della Croda; la storia di Moltina, del resto, "regge" bene anche se ne viene completamente ripulita. Può tuttavia risultare interessante osservare che, per "spiegare" l'origine della montagna rossa, l'autore dell'interpolazione non fece ricorso all'immagine del sangue versato, per esempio in una battaglia, come sembrerebbe quasi scontato, bensì al rossore di un volto. Il tema della "vergogna di Moltina" doveva dunque essere già ben noto e topograficamente localizzato: si può ragionevolmente presumere che costituisse parte integrante della leggenda originaria, anche se le sue motivazioni dovevano essere del tutto diverse dalla mancanza dei quarti di nobiltà, come recita il racconto che è giunto sino a noi, e plausibilmente legate invece alla violazione della matrilocalità.

Per concludere, l’antichità della storia è dunque suffragata da molti dettagli che rimandano direttamente all’età protostorica e che in epoca molto più tarda non sarebbero stati neanche immaginabili (p.es. il matriarcato, il culto delle acque e del Sole, il totemismo, il Brandopferplatz; dettagli il cui significato reale è stato dimenticato per secoli e risulta oggi nuovamente comprensibile solo alla luce di ricerche archeologiche ed antropologiche relativamente recenti.
Soltanto in un secondo tempo venne sovrapposto al mito delle origini quello sul colore della Croda Rossa (che ricorda da vicino quello dei “Monti Pallidi") e venne assegnato un nome alla protagonista, per inciso quello di un dio; molto più tardi, forse in epoca medioevale, vennero radicalmente alterati tanto il motivo della “vergogna” di Moltina quanto la sua maternità.
Sono inoltre facilmente identificabili, sparsi qua e là per il racconto, anche numerosi riferimenti alla vita medievale di corte e di caserma: ma questi sono meri dettagli di facciata e possono essere stati aggiunti a titolo di abbellimento da narratori molto recenti, se non addirittura dallo stesso Wolff.
Fattane dovuta pulizia, la storia appare, nella sua descrizione dell’ambiente (non certo nella trama!), una ricca fonte di dati originali quasi certamente affidabili.

Si deve osservare inoltre che la mera esistenza di un tale mito delle origini costituisce in sè un significativo indizio del fatto che un "popolo dei Fanes" possa essere effettivamente vissuto. Ben difficilmente, infatti, i posteri avrebbero potuto concepire una simile struttura socioculturale se non ne fosse stata tramandata esplicitamente la memoria; inoltre, l'operazione di sintetizzare tutto questo in un mito delle origini può essere stata significativa soltanto agli occhi dei possessori medesimi di tale cultura.

 

Capitolo precedente Indice dei capitoli Capitolo successivo TOP