La
saga dei Fanes - Analisi della leggenda
Il
Regno dei Fanes: 1 - I gemellaggi
Sotto
questo titolo ho raggruppato i primi capitoli della saga che,
dietro l'apparenza di una favola affollata di misteriose metamorfosi
ed animali parlanti, riprendono e sviluppano i temi antropologici
del totemismo e del matriarcato che erano già comparsi
nel mito della Croda Rossa. Se ne possono trarre interessanti
deduzioni sullo sviluppo della società dei Fanes ed è
persino possibile gettare uno sguardo, sotto una prospettiva del
tutto nuova e sorprendente, alla leggenda di Romolo e Remo, il
mito delle origini di una civiltà destinata a ben maggiori
fortune.
Compendio
del testo |
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Osservazioni |
La
principessa erede della casata dei Fanes sposa un principe
straniero, ma non osa raccontargli, come avrebbe dovuto,
della “alleanza segreta” tra i Fanes e le marmotte.
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Delle
regine dei Fanes non conosciamo che la prima, Moltina,
e l'ultima, che rimane senza nome. Quanto tempo sarà
passato tra le due? Vedremo che, nel frattempo, nella società
dei Fanes sono avvenute delle profonde modifiche, quindi
è legittimo supporre che sia trascorso qualche secolo.
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Il
re incontra un’aquila dagli artigli d'oro e che sputa
fiamme dal becco. E' in realtà il re di un’isola
lontana, abitata dagli uomini con un braccio solo; i due
re concordano un’altra alleanza segreta, che deve
essere consacrata con lo “scambio dei gemelli”,
secondo le usanze dei Fanes. Il re non ne parla neppure
alla moglie. |
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L’aquila
è la trasposizione (dovuta probabilmente a Wolff
stesso, che desiderava rendere chiaramente ad un pubblico
moderno il concetto di "nobile rapace", anche
a costo di commettere un grave errore di trascrizione folkloristica)
del ladino “variul de la flüta”,
ossia l’avvoltoio
della
fiamma (cfr. >Approfondimenti
>L'avvoltoio della
fiammma). Il desiderio del re di sostituire con
un grande rapace il tradizionale animale totemico dei Fanes,
la pacifica marmotta,
adombra chiaramente un mutamento che sta avvenendo, o meglio
è già avvenuto, nelle condizioni sociopolitiche
dei Fanes e che deve riflettersi in un'analoga variazione
del corredo mitologico della tribù.
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Al
re dei Fanes nascono due gemelle, cui vengono posti i nomi
di Lujanta
e Dolasilla.
Ma al mattino dopo Lujanta è scomparsa, sostituita
da una marmottina bianca. Il re ne resta all’oscuro.
Dopo qualche tempo ordina ad uno scudiero di portare le
gemelle all’aquila, perché se ne prenda una.
La regina viene a saperlo e fa in modo che lo scudiero non
si accorga che una delle gemelle è una marmotta.
L’aquila sceglie proprio quest’ultima, che però
le scappa e scompare in un crepaccio. |
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L’incidenza
dei parti gemellari nella specie umana è piuttosto
bassa (uno ogni ottanta). Non si può affidare certo
il buon esito di una sacra alleanza, da cui dipende l'esistenza
stessa della tribù, alla speranza che le regine abbiano
due gemelle ad ogni generazione. Il senso originale del
mito doveva essere leggermente ma significativamente diverso
da quello letterale. Non occorreva affatto, cioè,
che vi fosse una coppia di gemelle umane, perché
le “gemelle” erano in realtà la bambina
e la marmotta. Esse venivano scambiate tra loro in un gemellaggio
simbolico, che perpetuava il mito dell'antica simbiosi
tra Moltina,
la prima regina, e le marmotte in "fratellanza"
con le quali era cresciuta. Il fine di tutto ciò
doveva essere che il sacrificio della primogenita (cfr.
>Approfondimenti > Il
destino della Lujanta) convogliasse lo 'spirito delle
marmotte' ad incarnarsi nella secondogenita, conferendole
così la sacralità necessaria per ascendere
al trono. Le affinità, non evidenti ma strutturali,
con un altro "mito dei gemelli", sono indagate
in >Approfondimenti >Parallelo
con Romolo e Remo. |
Tempo
dopo, l’aquila consegna al re dei Fanes un aquilotto,
suo figlio, a completamento del secondo “scambio dei
gemelli”. Il re lo smarrisce (in un incidente stradale
- sic!), ma quando arriva al castello scopre che, di punto
in bianco, è nato un principino con un braccio solo.
Il re ne è tutto contento ed ordina di sostituire
con un’aquila la marmotta dipinta sulle mura del castello. |
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Mentre
fin qui il culto della marmotta e quello dell’avvoltoio
sono bene o male coesistiti, adesso il culto dell’avvoltoio
si impone come “religione di Stato”. Si noti
come ciò accada solo alla nascita del principe
destinato ad incarnare il rapace (il principe-aquila).
Se ne possono trarre due importanti conclusioni:
- la
pacifica società di cacciatori-raccoglitori, che
abbiamo visto alle origini del popolo Fanes, si è
ormai trasformata in una di pastori e predoni. La protezione
sacra offerta dal vecchio totem
deve essere sostituita con una più conforme
al nuovo stile di vita;
-
ne consegue che anche l'antica istituzione del matriarcato
appare ormai superata. Il gemellaggio totemico basato
sullo scambio di figli maschi si sostituisce a quello
delle figlie femmine: d'ora in poi la sacra regalità
legata al totem
verrà tramandata per via patrilineare.
Questa complessa e spinosa trasformazione social-politico-religiosa
viene raccontata con grande fatica e ricorrendo a dei
veri e propri contorsionismi. Sospetto che vi sia stata
anche un'importante omissione. A perfezionamento del parallelismo
tra i due gemellaggi totemici, cioè, ritengo che
non la marmottina sia stata ceduta all'aquila come pegno
di gemellaggio, ma un primo figlio maschio della coppia
regale, che nel racconto non compare affatto. E' fin troppo
evidente che questo bambino "affidato" agli
avvoltoi non possa che essere stato offerto loro in sacrificio.
L'episodio cruento e ripugnante deve essere stato, subito
o più tardi, espurgato del tutto dalla narrazione,
sostituendolo con l'acrobazia mitologica dell'aquila che
sceglie la marmottina, ma poi la perde.
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Commento
Può
davvero essere esistito un regno sugli altopiani dei Fanes?
Se
per “regno” ci aspettiamo uno Stato di tipo
più o meno moderno, con città, castelli
e distese di campi coltivati, la risposta è ovviamente
no.
Alcuni hanno asserito addirittura che le Dolomiti “non
potevano” essere popolate prima del Medioevo, perché
erano inadatte agli insediamenti umani. Svariati ritrovamenti
archeologici risalenti ad epoche diverse hanno tuttavia
seccamente smentito questa affermazione. Del resto, a
ben maggior ragione allora gli uomini non avrebbero mai
potuto colonizzare stabilmente con mezzi primitivi degli
ambienti assai più ostili di questo, come i deserti
o l’Artide; e soprattutto, non sarebbero mai riusciti
ad emergere dalle ere glaciali. Anche attualmente le condizioni
climatiche sugli altopiani di Fanes (circa 150 km²
a quote tra i 1800 ed i 2200 m) non sono certo più
severe di quelle del Nord europeo, ed in alcuni periodi
del passato sono state persino più favorevoli di
oggi (cfr. >Approf. >Le
variazioni climatiche). La zona costituiva una “nicchia
ecologica”, sia pur povera, ma in cui l’uomo
poteva sopravvivere stabilmente. Ogni nicchia trova prima
o poi chi la occupi, e ci sarebbe semmai da stupirsi se
dovessimo scoprire che questa non lo sia mai stata. La
domanda che è corretto porsi non è se,
ma quanti abitanti potevano trovare da nutrirsi
sull’altopiano dei Fanes, e con cosa?
Lungo tutto l’arco della leggenda, non vengono loro
attribuite altre attività economiche oltre alla
caccia e raccolta. Si fanno pochi e debolissimi accenni
alla pastorizia ma sono del tutto irrilevanti per la storia
e potrebbero benissimo essere spuri, forse degli abbellimenti
narrativi dello stesso Wolff.
Possiamo inoltre escludere che l’agricoltura fosse
importante per i Fanes, altrimenti avrebbero cercato di
colonizzare anche delle aree a quota più bassa,
fatto che la leggenda implicitamente ma recisamente smentisce.
Né in essa compare alcun simbolismo di carattere
agricolo. Tutt’al più, i Fanes potrebbero
aver posseduto qualche coltivazione semispontanea di integrazione
alimentare.
Del resto, anche ammettendo che ci si trovasse nel periodo
climaticamente più favorevole, nell’età
del Bronzo finale il limite del bosco sulle Alpi non si
è mai elevato molto oltre un paio di centinaia
di metri sopra il livello attuale. Quindi la zona degli
altopiani oggi aridi e desolati si sarebbe sempre prestata
abbastanza male all’agricoltura, piuttosto si sarà
presentata come un buon alpeggio (probabilmente per ovini
e caprini: a Sotciastel (Bronzo medio) sono presenti anche
ossa di bovino, ma le fonti storiche non documentano altre
forme di allevamento nelle Dolomiti nemmeno in epoche
molto più tarde).
Abbiamo visto che il territorio occupato dai Fanes si
estende su circa 150 km², e non certo tutti di prima
scelta. Possiamo ammettere che un territorio del genere
riesca a sostentare circa di un abitante per km²
se si tratta di puri cacciatori-raccoglitori; ne risulterebbe
quindi al massimo una tribù di cento-centocinquanta
persone, in grado di allineare non più di alcune
decine di guerrieri. Invece un popolo di pastori (o meglio,
che associ la pastorizia alla caccia ed alla raccolta)
potrebbe moltiplicare significativamente questa densità,
giungendo a mettere in campo quei cento o duecento combattenti
che sembrano un minimo assoluto per le imprese belliche
attribuite ai Fanes.
Se ne può dunque concludere che nel tempo intercorso
tra Moltina e Dolasilla la società dei Fanes si
dovette gradualmente trasformare da una pura caccia-raccolta
in un’economia prevalentemente pastorale, forse
anche per apporti culturali provenienti dall’esterno
(sintetizzati o simboleggiati nella leggenda dai re stranieri).
Ma un popolo di pastori non è più un popolo
che non ha niente da perdere a rifugiarsi nelle grotte
tutte le volte che un nemico appare all’orizzonte:
deve imparare a difendere i propri mezzi di sostentamento.
Ed ecco che la "strategia delle marmotte" non
è più militarmente applicabile.
Sembra inoltre, a giudicare dalle vicende descritte nel
seguito della saga, che i Fanes non si siano accontentati
di sapersi difendere, ma si siano gradualmente spinti
fino a dedicarsi con impegno e successo alla predazione,
ed a considerare la guerra perenne come il proprio stile
di vita, gratificante e remunerativo. Da questa trasformazione
economica e sociale nacque la vergogna per l'antico comportamento
“da marmotta”. Ma, in una società vitale,
l'ordinamento socioeconomico e l'apparato mitologico si
devono sempre supportare a vicenda. La leggenda afferma
che i propugnatori di questo nuovo stile di vita abbiano
trovato nell’avvoltoio, il più grande fra
gli uccelli da preda, che già era presente con
ben diverso significato nel repertorio simbologico dei
Fanes, la nuova icona da contrapporre all’antica
marmotta.
Simultaneamente, associando anche il matriarcato alle
marmotte, si desiderò probabilmente chiudere pure
con quest’ultima istituzione, conferendo quindi
al comandante dell'esercito anche la pienezza dei poteri
civili. Il marito della regina, per poter ricoprire a
tutti gli effetti il ruolo sacrale del sovrano, aveva
dunque la necessità di proporsi personalmente come
ministro e garante del nuovo culto che veniva istituito.
Da
ciò il conflitto - che probabilmente non sfociò
tuttavia mai in veri e propri atti di forza - condensato
dalla leggenda negli ambigui rapporti fra un’individuale
regina ed il suo individuale marito.
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