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La saga dei Fanes - approfondimenti

Parallelo con Romolo e Remo

La presenza di un "mito dei gemelli" nella saga dei Fanes porta a domandarsi se non vi possano essere delle affinità con un altro mito molto più noto, anch'esso legato alle origini di un popolo: quello di Romolo e Remo.


Per quanto le somiglianze non siano formalmente evidenti, purtuttavia esse esistono sul piano delle strutture profonde, e sarebbero ancora più strette se la società romana non fosse legata ad una cultura oppressivamente patriarcale.
Si noti che, se in epoca tarda fosse avvenuto un riporto culturale dalla mitologia romana a quella dei Fanes, le somiglianze sarebbero certamente molto più formali che sostanziali.

Siccome invece accade il contrario, e le somiglianze sono molto maggiori sul piano concettuale nascosto che non su quello formale, si deve pertanto concludere che il mito dei Fanes preesisteva ai Romani e non è stato influenzato da quello di Romolo e Remo.

Dobbiamo inoltre sottolineare che, mentre il mito romano appare conchiuso nell'atto della fondazione della città, quello dei Fanes viene perpetuato ad ogni generazione regale, che prende forza proprio dalla continua reiterazione del mito delle origini. Ciò detto, possiamo osservare dunque che:

Romolo:
E’ figlio di una sacerdotessa (Vestale)
E’ figlia di un’anguana che amministra il culto del Sole
Viene allattato dall’animale totemico (=lupa), ossia come se fosse un lupacchiotto egli stesso
Cresce in simbiosi con l’animale totemico (=marmotta), ossia come se fosse una marmotta ella stessa
Il fratello maggiore (non gemello! si noti che Romulus in latino si può leggere come Romus/Remus il minore) deve morire affinchè egli possa regnare
La sorella maggiore (non gemella!) deve scomparire sotto terra affinchè lei possa regnare

Mentre il mito dei Fanes ci rappresenta una struttura sociale ancora matriarcale ed animistica, Romolo è raffigurato come il fondatore di una società patriarcale e praticante una religione politeistica; di conseguenza non può restare figlio di padre ignoto come Moltina, bensì come genitore gli viene attribuito un dio. Quanto a Remo, il suo ruolo è analogo a quello della Lujanta: scomparire nel rito del gemellaggio totemico. Ruolo mistico ampiamente frainteso (o volontariamente trasformato in un ben diverso ruolo politico) dai successivi estensori del mito. Si osservi per inciso che, se tra i Fanes lo scambio marmotta-avvoltoio avesse avuto il tempo di stabilizzarsi, le somiglianze tra i due miti ne sarebbero rimaste ulteriormente accresciute.

Il mito di Romolo è datato alla metà dell' VIII secolo A.C.; la fine dell'età del Bronzo nelle Dolomiti alla fine del IX - inizio dell'VIII. Visto che il mito di Romolo non sembra poter aver influenzato quello di Moltina, e naturalmente nemmeno viceversa, credo pertanto che si possa tranquillamente sostenere che entrambi i miti traggano origine da un comune corpo di ancestrali credenze a sfondo animistico-matriarcale, che nel tardo Bronzo – primo Ferro dovevano essere ancora abbastanza diffuse.

E' tuttavia interessante notare alcune ulteriori particolarità nel mito della Roma delle origini:

- Romolo è uno straniero (viene da Albalonga);
- La sua abitazione (in base ai recenti scavi del prof. Carandini) si trova all'interno del santuario di Vesta.

Queste occorrenze richiamano evidentemente la matrilocalità e pongono Romolo in parallelo al "principe dei Landrines", che sposa Moltina, la vera sorgente del sacro potere regio, va a vivere con lei, e fonda la rocca delle Cunturines, la "città" dei Fanes.

Ne ricavo la sensazione che Romolo abbia fondato la città dopo essersi accasato con una sacerdotessa di Vesta (moglie quindi, e non madre? si noti l'assonanza tra il nome di Ersilia, la moglie di Romolo, e Rea Silvia, la madre; coincidenza?) e che di conseguenza dovesse obbligatoriamente essere mitizzato secondo lo schema tradizionale italico dei fondatori di città: in origine non doveva affatto chiamarsi Romolo nè avere necessariamente un fratello, tanto meno gemello. Tutti questi attributi gli sono stati assegnati all'atto della sua mitizzazione in forma canonica (che deve essere avvenuta molto presto): nato altrove, figlio di un dio ed una sacerdotessa, allevato dall'animale totemico, dotato di un fratello maggiore che doveva essere sacrificato in un atto di "gemellaggio" col totem, affinchè nel minore potesse incarnarsi lo spirito del medesimo, e quindi egli potesse legittimamente salire al trono. Come corollario, i nomi "Romolo" e "Remo" sarebbero stati pertanto costruiti su "Roma", e non viceversa.

Lo schema sopra tratteggiato - se confermato - ci porterebbe ad una conclusione del tutto inaspettata: ai tempi di Romolo, Roma era retta da un matriarcato teocratico! Naturalmente, questo contrasta con tutto ciò che ci è stato raccontato di Roma. Tuttavia, vi sono anche altri indizi che puntano in questa direzione:

- vi sono testimonianze archeologiche (cfr. Carandini, 2002) riferibili a donne che occupavano una posizione sociale definibile come regina nell'Italia centrale dell'epoca (matriarcato?);
- il ratto delle Sabine: un atto di patrilocalità forzosa abbastanza difficilmente credibile così come ci è stato raccontato, che può essere interpretato come la copertura mitica del fatto che Romolo abbia avuto dei grossi problemi con le donne romane;
- l'assenza di una dinastia: nessuno dei re di Roma è figlio del suo predecessore. Gli storici antichi
affermano che il re veniva eletto dal Senato, ma potrebbe ancora essere una copertura del fatto che almeno i primi quattro re furono eletti in realtà dalle sacerdotesse, in base ad antichi rituali;
- Il successore di Romolo, Numa Pompilio, il più mite e succube degli uomini, prende esplicitamente ordini dalla presunta consorte, la ninfa Egeria (l'equivalente di un'anguana?) - e muore quietamente in età avanzata.

Non conosco l’argomento nemmeno per un decimo di quanto serivirebbe per trasformare questi indizi in una teoria vera e propria, ma mi piacerebbe proporre un’ipotesi di lavoro:

1. Una città sui sette colli deve essere esistita molto prima di Romolo; questo è asserito abbastanza esplicitamente dal mito, ed è provato dai moderni scavi archeologici;
2. Questa città doveva essere una teocrazia in cui il potere supremo era esercitato da sacerdotesse (come suggerito dagli indizi di cui sopra). Non conosciamo affatto le forme che questo potere era venuto ad assumere;
3. Parallelamente ad altri esempi classici (per lo più greci) il “re” poteva essere il marito della prima sacerdotessa; i dettagli della sua nomina restano oscuri, ma probabilmente doveva essere uno straniero, e le sue prerogative avevano un carattere prevalentemente militare;
4. E’ probabile che nel lontano passato l’intera società fosse stata strutturata a matriarcato (clan governati dalla madre di famiglia, trasmissione della proprietà in linea femminile, marito che si trasferiva dalla casa della madre a quella della moglie). Ma al tempo di Romolo la società si doveva già essere pian piano trasformata in un patriarcato (clan governati dai patres, tramissione della proprietà in linea maschile, moglie che si trasferiva dalla casa del padre a quella del marito). Tuttavia il governo della città doveva ancora essere amministrato dalle sacerdotesse, in un tipico arcaismo delle istituzioni rispetto all’evoluzione sociale;
5. E’ quasi certo che nella Roma pre-romulea coesistessero più gruppi etnici (latini? sabini? etruschi? altri ancora?) Questi apporti multietnici devono aver giocato un loro ruolo nella definizione istituzionale e nell’evoluzione della struttura sociale discussa al punto precedente;
6. Romolo può (ma non necessariamente) essere stato effettivamente uno straniero; divenne “re” nel senso visto sopra, presumibilmente sposando la prima sacerdotessa e abitando entro il suo tempio (di Vesta?) secondo le tradizioni;
7. Egli dovette fondare una rocca sul colle Palatino – una città murata, se si vuole, in ogni caso una struttura che permise a Roma di essere chiamata città e costituì la prima base della sua futura potenza e grandezza;
8. Egli inoltre istituzionalizzò l’organizzazione della società così come in pratica doveva essere strutturata già da tempo, ossia in clan patriarcali (= curie, da co-viri [uomini insieme]; da cui il suo altro nome, Quirino [= co-virinus]. Probabilmente sull’onda di questo successo, egli tentò di impadronirsi del pieno potere regio, sottraendolo alle sacerdotesse: ne seguì una guerra civile che terminò con un fragile e poco amichevole armistizio (sembra che per un breve periodo ci fossero simultaneamente due re, Romolo e Tito Tazio). Le parti coinvolte sono state descritte come entità etniche diverse (Romani e Sabini), e potrebbe anche essere vero; ma potrebbe anche essere solo la “spiegazione”, postuma e politicamente più corretta, di una guerra civile fra due fazioni trasversali alle etnie ("marmotte" contro "avvoltoi"?);:
9. Tito Tazio fu assassinato per primo; infine, anche Romolo venne ucciso. Il mito dice che “sparì” durante una tempesta e divenne un dio, ma nemmeno i grandi storici romani ci credevano più. Altri affermano che fu fatto a pezzi dai senatori. Certamente fu ucciso, non sappiamo se per vendetta, per ragioni politiche, su istigazione delle sacerdotesse, o chissà che altro;
10. Quel che appare chiaro, tuttavia, è che il suo successore, Numa Pompilio, che apparteneva alla fazione anti-romulea (i Sabini), si uniformò devotamente alle leggi del matriarcato. In ogni caso il suo status ufficiale era già quello di un re a tutti gli effetti; regnò da solo e raggiunse la tarda età;
11. Non è facile definire in che momento le sacerdotesse abbiano effettivamente perduto il loro potere politico. Probabilmente ciò avvenne non più tardi della nomina a re di Tarquinio Prisco. Ma il punto importante è che le sacerdotesse non lasciarono i loro poteri al re: secondo tutte le apparenze, li trasmisero ai senatori (i patres), che in effetti all’inizio dovettero esercitarli in continuità con quanto le sacerdotesse avevano fatto da sempre. Il re continuò dunque ad essere nominato: ma dagli uomini, non più dalle donne;
12. Pertanto il Senato uscì da vero vincitore del secolare conflitto. Subito, volutamente o meno, deve essere iniziata la cancellazione persino del ricordo di un governo delle donne nell’antica Roma, e di esaltazione al suo posto del ruolo politico del senato. I primi annalisti che scrissero del regno di Roma (nel primo periodo della Repubblica) non devono aver rintracciato nella tradizione orale più che vaghi cenni all’esistenza di un matriarcato, e non avevano alcuno stimolo a scavare più a fondo;
13. Il mito di Romolo doveva essere stato costruito già molto tempo prima. Le sacerdotesse non avevano ragioni per nascondere la sua vera grande realizzazione, ossia la fondazione della città murata: si limitarono a mitizzarla in modo da adattarla al suo archetipo ancestrale. Così Romolo ricevette un dio per padre, una sacerdotessa per madre, un re per nonno ed un fratello gemello destinato a morire; fu associato ad una lunga lista di sacri patroni, di cui la lupa è soltanto la più nota, e fu rinominato come si conveniva ad un uomo destinato a fondare una città chiamata Roma;
14. Più tardi, i senatori devono a loro volta aver modificato il mito, per favorirne la correttezza politica, quanto meno sotto diversi aspetti: il ruolo della moglie di Romolo, le ragioni per cui suo fratello doveva morire, l’ambigua storia dei suoi ultimi anni di regno e della sua morte, e chissà cos'altro.

Non mi sento preparato a procedere oltre. Nel tentativo di ricostruzione sopra tentato, che vuole avere, ripetiamo, esclusivamente un valore di ipotesi di lavoro, vi sono vastissime zone d’ombra e di penombra sulle quali sarà difficilissimo fare luce. Tuttavia, molte delle congetture che ho proposto sono basate sui parallelismi tra il mito dei Fanes e quello di Romolo e Remo. L’esame di tali parallelismi lascia supporre l’esistenza di un archetipo comune di “mito di fondazione”. Ritrovare altrove le tracce di questo mito potrebbe aumentare di molto le probabilità che alla base delle ipotesi sopra proposte possa esserci qualcosa di vero.
Anche indipendentemente da questo, mi auguro che qualche storico possa sentirsi stimolato ad approfondire questa inconsueta prospettiva.