La
saga dei Fanes - Analisi della leggenda
La
trilogia della val di Fassa
Wolff
udì raccontare questa rustica epopea molto prima di conoscere
quella del Regno dei Fanes propriamente detto, e non riuscì
mai a considerarle due vicende ben distinte, nemmeno quando riconobbe
che erano state composte in epoche nettamente diverse. Influì
indubbiamente su di lui l'ansia di dimostrare l'esistenza di una
tradizione ladino-fassana unitaria che potesse essere fatta rivivere,
in funzione anti-italiana, anche sotto forma di teatro popolare.
Tuttavia la cosiddetta trilogia fassana non solo vive in un altro
mondo rispetto al mito dei Fanes, ma ad un'accurata analisi appare
essa stessa opera della confusa sovrapposizione di ricordi ambientati
in due epoche diverse: quella della conquista romana e quella
dell'invasione longobarda.
Compendio
del testo
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Osservazioni
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1.
Il torneo di Contrin
I
comuni della val di Fassa devono difendersi dalle razzie
dei Trusani,
che vivono nel bacino del Cordevole, e per farlo hanno
istituito una milizia regolare: gli Arimanni.
Solo la città di Contrin,
così ricca da aver rivestito d’oro i merli
delle mura, ritiene orgogliosamente di potersi difendere
da sola. Il suo re, Odolghes,
è un grande guerriero ed è anche un cantore.
Ma una notte i Trusani
assalgono la città di sopresa e la conquistano.
Odolghes
perde una mano nello scontro ma riesce a fuggire sulle
montagne.
Dopo trent’anni, i Trusani
hanno occupato stabilmente Contrin
e l’unico figlio sopravvissuto del re è stato
nominato borgomastro, ma è soggetto ad un governatore
militare trusano. Egli sta per dare la figlia in sposa
per l’appunto al governatore. Torna però
Odolghes,
mascherato da cantore, e si accorda con la nipote per
riconquistare la città. Questa deve solo far sì
che gli Arimanni
fassani vengano invitati a partecipare ad un torneo, il
giorno delle nozze.
Così viene fatto, e al segnale stabilito Odolghes
si rivela e guida gli Arimanni
contro i Trusani.
Nella battaglia la città viene incendiata, e tra
ferro e fuoco periscono tutti i contrinesi, Odolghes
e nipote compresi, ma anche tutti i Trusani.
Solo un gruppetto di Arimanni
riesce a trarsi in salvo. Il giorno dopo, tra le rovine
fumanti trovano un ragazzino, illeso, cui pongono nome
Lidsanel
(da lizza, ossia torneo).
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Le
milizie designate come Arimanni,
termine di origine longobarda (Heer-Mann, uomo d’arme),
sono molto ben radicate nella tradizione popolare, ma
non sussistono riscontri scritti della loro presenza in
val di Fassa. Questo portò de Rossi a concludere
che abbiano cessato di esistere anteriormente alla data
dei primi documenti che ci sono pervenuti (attorno al
1050) . Supponendo che i Longobardi non possano essere
penetrati fin nelle valli secondarie se non qualche tempo
dopo la loro invasione, gli Arimanni
andrebbero dunque datati, diciamo, tra il 600 ed il 1000.
Contrin è
probabilmente ancora una volta soltanto un archetipo,
un villaggio idealizzato, più antico degli altri
villaggi della valle, ricco per attività minerarie
anch'esse idealizzate.
La conquista di Contrin
da parte dei Trusani
costituisce
una notevole eccezione alla loro tattica di scorrerie
“ruba, ammazza e fuggi”. Non solo qui, anziché
saccheggiarla, occupano stabilmente la città, ma
lasciano a governarla almeno nominalmente l’ultimo
superstite dell’antica schiatta regnante, per quanto
sottoposto al controllo di un governatore militare. Si
assiste anche ad una politica di incentivazione dei matrimoni
misti, ossia ad un tentativo di assimilazione della popolazione
con i nuovi dominatori; tentativo che deve anche aver
dato i suoi frutti, dal momento che Odolghes,
rientrato di nascosto in città dopo trent'anni
per suscitarvi una rivolta, si accorge che questa non
è possibile, ossia che i Contrinesi non hanno nessuna
intenzione di ribellarsi.
Questo comportamento attribuito ai "Trusani"
non è certamente riferibile ai rozzi e brutali
Longobardi, nè ad alcun'altra popolazione della
loro epoca. E' invece un comportamento tipico dei Romani;
valga come esempio la Palestina di Erode e Pilato (che
fu conquistata pressappoco nello stesso periodo del Trentino).
Vi sono numerose leggende fassane esplicitamente riferite
al tempo della conquista romana (cfr. soprattutto la raccolta
di de Rossi).
Ne consegue che o Wolff
stesso, o qualcuno prima di lui, mescolò in uno
solo quelli che avrebbero dovuto restare due cicli leggendari
ben distinti - tre se contiamo anche quello dei Fanes
p.d.
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2.
La luce dei morti
Lidsanel
resta fra gli Arimanni
come tamburino, e col tempo diventa il più grande
ed il più forte di essi. Un giorno una vivena
gli rivela che è il nipote del re dei Fanes, e
che potrà riprendersi il regno se conquisterà
le frecce infallibili: ma dovrà essere capace di
reprimere per tre volte il suo più ardente desiderio.
Vi è un periodo di pace, nel quale gli Arimanni
si lasciano andare alle ruberie, tanto che la gente prende
a chiamarli “latrones”. Così alla fine
la milizia viene sciolta. Ha luogo un grande torneo, nel
quale ciascuno dei comuni assegnerà un premio al
guerriero più valoroso. La figlia del capo del
comune di Vigo, certa della superiorità del suo
amato Lidsanel,
ha promesso la sua mano al vincitore del premio. Tuttavia
i comuni assegnano ciascuno il premio al migliore dei
propri concittadini. Così Lidsanel,
un trovatello che non era cittadino di nessun comune,
pur vincendo il torneo, perde premio ed amata. Incontra
la vivena e scorda di preferire le frecce infallibili
al premio di Vigo.
Gli Arimanni,
invece di sciogliersi, decidono di emigrare; ma sui Monzoni
si scontrano con un gran numero di Trusani.
Accendono un fuoco di segnalazione per chiamare aiuto,
ma nessuno lo vede. Allora spediscono in valle Lidsanel;
ma quando questi ritorna con altre truppe, il fuoco è
ancora acceso ma gli Arimanni
sono tutti morti. A volte, nelle notti buie, i Monzoni
riverberano ancora della luce sanguigna di quel fuoco.
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E’
ben curioso come, mentre il nome ufficiale attribuito
a queste milizie è di origine longobarda, il nomignolo
spregiativo che il popolino avrebbe loro appioppato (tra
il 600 ed il 1000 D.C., quando il ladino doveva già
essersi ben formato!) sia un termine in latino classico.
Occorre anche sottolineare la fierezza con cui i “latrones”
si fregiano del suddetto spregiativo, in modo particolare
di fronte al nemico. “Dei latrones io l’ultimo
son!” griderà infatti fieramente Lidsanel
ai Trusani: dei “latrones”, non degli
“Arimanni”.
Sembrerebbe che i primi a chiamare gli Arimanni
“latrones” fossero stati i nemici
stessi, che peraltro, da come vengono descritti, non sarebbero
stati essi medesimi che volgari briganti e ladri di bestiame.A
questa fierezza va anche ricondotto lo “strano”
aneddoto, raccolto da de
Rossi, della donna la quale, alla “cornacchia”
che la interpella con sprezzante ironia, risponde : “Noi
latrones non abbiamo mai rubato niente a nessuno,
ma abbiamo combattuto per la nostra libertà ed
almeno in parte siamo riusciti a conservarla”. Sembra
proprio che i due nomi distinguano i distinti momenti
storici: i latrones (epiteto attribuito ai partigiani
d'ogni epoca!) non sarebbero che i Fassani della tarda
età del Ferro che si opposero con la guerriglia
all'occupazione romana; gli Arimanni
apparterrebbero invece al periodo longobardo.
Anche qui abbiamo una leggenda che viene tirata in ballo
per spiegare un fenomeno naturale inconsueto. Da come
viene descritta, si tratta di una luce assai fioca, ma
il cui colore non è quello bluastro dei fuochi
fatui. Possiamo sempre parlare di autocombustione spontanea?
Non vedo alternative, anche se il fenomeno è evidentemente
ben diverso dalla flüta del variul.
Forse si tratta, o meglio si trattava, di gas di idrocarburi,
o di carbone naturale, che bruciarono lentamente e per
un lungo periodo, fino all’esaurimento, con una
luce troppo debole per poter essere osservata di giorno.
Il dettaglio (ancora il mito portato a spiegazione di
un fenomeno naturale inconsueto!) rimane tuttavia sostanzialmente
del tutto marginale nella struttura del racconto. Si può
concludere che l’episodio della cruenta battaglia
in cui gli Arimanni
vennero sterminati, (probabilmente storico e da collocarsi
nella stessa zona) sia stato semplicemente invocato a
posteriori per giustificare in modo soprannaturale qualcosa
di altrimenti inspiegabile.
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3.
L'ultimo dei Latrones
Lidsanel
è rimasto l’ultimo dei latrones: non
vuol rassegnarsi a fare il contadino, ma continua a ronzare
attorno alla sua bella. Vive fra boschi e montagne, sempre
in cerca del modo di vederla. Incontra la vivena,
e scorda di nuovo le frecce infallibili in favore dell’amata.
Un giorno che la ragazza è sugli alti pascoli,
i Trusani lanciano
una razzia: Lidsanel
tenta di difenderla, ma la ragazza viene ferita. Lui fa
voto di non portare più armi, ma lei muore ugualmente.
Lidsanel
si impadronisce del cadavere, portandolo sui monti, e
giura di vendicarsi terribilmente sui Trusani.
E quando la vivena
gli chiede per la terza volta cosa desideri, fa tramontare
definitivamente ogni speranza di restaurare il regno dei
Fanes, scordando ancora le frecce infallibili in favore
della vendetta.
Saputo che un gran numero di Trusani
sta per calare in Fassa, fa appostare le milizie sulle
rocce, in alto sopra un passaggio obbligato che attraversa
un pendio scosceso e senza ripari, poi si offre ai Trusani
di mostrar loro la strada, e li guida dove saranno massacrati
dalle pietre che i Fassani faranno franare loro addosso.
Muore naturalmente anche lui, ed i comuni della valle
rendono grandissimi onori alla sua salma.
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E’
credibile che dei soldati romani abbiano sentito il bisogno
di una guida per aggirare il passo di Fedaja; assai meno
che dei montanari di Roccapietore o dintorni conoscessero
i luoghi così male da cadere nel tranello teso loro
dal fassano! Dunque l'episodio del glorioso sacrificio di
Lidsanel
andrebbe più credibilmente collocato in epoca romana,
e probabilmente costò agli invasori un paio di centurie
di ausiliari, se non di legionari veri e propri. Tutto il
resto della storia, coi "Trusani"
razziatori e stupratori, sembra invece più tipico
del periodo longobardo che di quello romano.
Si
osservi come la discendenza di Lidsanel
dai Fanes non giochi in realtà alcun ruolo nella
storia. La vivena
fa e disfa tutto da sola: sarebbe lo stesso se parlasse
col muro, le azioni di Lidsanel
non vengono minimanente influenzate dalla sua pretesa genealogia.
E' ovvio che siamo in presenza di un postumo tentativo,
da parte dei cittadini di Lidsanel,
di nobilitare quell'eroe che in vita avevano disprezzato
e tenuto ai margini della loro società.
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Commento
Lo
stesso Wolff dovette
rendersi ben conto che i Fanes, i Romani ed i Longobardi appartengono
a tre momenti storici - e poetici - ben distinti, e che i Fanes
in val di Fassa sono soltanto l'eco di leggende nate e radicate
altrove, pure volle comprenderli tutti in un'unico ciclo di saghe,
in omaggio alla sua idea di far rivivere il teatro popolare ladino
in funzione eminentemente antitaliana. Se è assai facile
separare i Fanes dal resto, gli altri due momenti appaiono invece
molto più difficili da districare tra loro. Alcuni episodi
sono certamente riferiti all'invasione romana, come la presa di
Contrin e la morte di
Lidsanel;
altri alla fase longobarda, come le scorrerie trusane
o la cacciata degli Arimanni.
Ma non è sempre facile tirare una netta riga divisoria;
diversi episodi sembrano ancora una volta essere stati vissuti
due volte, in conformità al principio che i canoni del
mito devono aderire per sovrapposizione ad archetipi definiti.
Forse, se de Rossi
avesse effettivamente scritto la preannunciata seconda parte delle
sue Fiabe e leggende della val di Fassa, oggi sarebbe
più facile mettere ogni personaggio ed ogni evento nel
posto che gli spetta.
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