LE
“RICERCHE” ARCHEOLOGICHE DI G. INNEREBNER
NELLA CONCA DI FANES PICCOLA
Sapevo da tempo che l’ing. G. Innerebner
aveva compiuto, nell’ormai lontano 1953, delle ricerche
archeologiche nella conca di Fanes piccola,
individuando quello che aveva ritenuto le imponenti rovine di
un’antica fortificazione. Successivamente, una spedizione
geologica aveva definito l’ammasso di sfasciumi una formazione
assolutamente naturale.
Grazie alla cortesia del dr. Benno Baumgartner, vicedirettore
del Museo di Storia Naturale di Bolzano, ho potuto recentemente
leggere l’articolo, apparso sulla rivista “Der
Schlern” [Lo Sciliar], con cui Innerebner comunicava
la sua scoperta. Ne fornisco in calce la traduzione dal tedesco,
un po’ riassunta, seguita da una breve nota di commento.
Da “Der Schlern”, 1953, pp. 292 sgg.
Il “Ciastel” nel gruppo di Fanes
del
dr. ing. Georg Innerebner
Già
nel mio saggio “Lo Schwarzhorn ed il Weisshorn*)
come siti preistorici”, apparso sullo “Schlern”
del 1950, p.267, avevo menzionato che la comparsa del nome “Burgstall**)
”, anche in zone d’alta quota oggi prive di insediamenti,
debba costituire un richiamo a tempi preistorici. Alcune ulteriori
esperienze compiute dopo di allora in questa direzione mi hanno
rafforzato in questa opinione fino a farla diventare un convincimento.
Il ritrovamento di cocci incontestabilmente preistorici nella
zona del “Ciastel”, situato al centro del deserto
di pietre circondato dai monti di Fanes
Piccola, a più di 2600 metri sul mare, il giorno
di S.Anna di quest’anno°), me
ne ha tuttavia portato la prova definitiva.
Il gruppo di Fanes nelle Dolomiti
orientali, chiuso in se stesso e finora assai poco frequentato,
deserto e silenzioso, è delimitato e racchiuso dalla
valle di san Vigilio a nord, dalla val Travenanzes ad est, dalla
valle di san Cassiano a sud e dalla val Badia ad ovest. La sua
parte più elevata, che porta la denominazione di “Fanes
piccola”, costituisce una conca montana esattamente circolare
di circa 20 km2, racchiusa per tre lati da una cresta di alte
vette ed aperta solo verso est.
Geologicamente, questo singolare bacino dolomitico appartiene
nelle sue zone marginali alla formazione inferiore del Giura
(Lias), mentre nel suo più pianeggiante corpo centrale,
che degrada a lenti scalini verso est, si incontrano gli “avanzi”
più tardi di formazioni ancora ben stratificate del Giura
più recente e del primo Cretaceo.
Quasi in mezzo all’arco marginale che precipita verso
ovest sulla val Badia, alto, privo di sentieri e lontano da
qualunque frequentazione, si trova, assai vicino a Cima Dieci,
alta 3023 metri, un isolato castello naturale di roccia, alto
in media 150 metri. Esso si distingue ancor più nettamente
dalla zona circostante, ben stratificata con inclinazione fortemente
obliqua, in quanto le bancate di quest’isola di roccia
sono disposte in modo perfettamente orizzontale e con ciò
dimostrano di costituire un corpo separato, di formazione più
tarda. Il punto più alto della cresta, che raggiunge
i 2657 metri di quota, si trova quasi 300 metri più in
alto del punto più elevato della zona rocciosa che lo
circonda. Alla congiunzione con questa si crea una sella piccola,
ma ben marcata, a 2605 metri sul mare, dalla quale si può
scalare per un pendio detritico, sia pur ripido, ma privo di
difficoltà, il bastione di roccia che altrimenti precipita
verticalmente da ogni lato. Dalla sella il terreno scende a
picco verso sud, mentre sul lato nord digrada più dolcemente
in una depressione ricolma di sfasciumi rocciosi, rivolta verso
la conca della piccola Alpe di Fanes.
Ora, in quest’ultima depressione si trovano, in mezzo
ad un gigantesco mare di pietra, i resti di una possente cinta
di mura, disposta quasi orizzontalmente, di oltre 60 metri di
diametro, che nella sua parte meridionale è conservata
in modo eccellente per una lunghezza di oltre 50 metri e pertanto
consente una buona ricostruzione della pianta del complesso
(fig. 1).
Verso ovest questa cinta di mura si appoggia su due lati alla
liscia parete dell’incombente Cima Dieci, ma verso est
si prolunga verso la conca valliva del “Ciastel”.
Lì la corona ha un’altezza esterna media di parecchi
metri e presenta in sezione un’ampiezza di 4 metri, che
si allarga fino a 10 metri dove si congiunge col pendio. All’interno
delle mura si può seguire facilmente per tutta la circonferenza
il corrispondente fossato, parimenti circolare con una larghezza
media di 7 metri ed oggi profondo quasi 2 metri, nonostante
sia parzialmente ricolmo di macerie rocciose crollate in fuori
(fig.2). La parte centrale dell’insediamento si presenta
come una calotta di forma quasi regolare, ben rilevata, ma completamente
costituita da sfasciumi rocciosi, il cui punto più alto
si trova 4 metri più in alto dell’elevazione della
cinta di mura. Qui si potrebbe senz’altro trattare dei
resti di una torre gigantesca dalle spesse muraglie, rovinata
su se stessa, la cui disposizione in pianta mi ricorda fortemente
i nuraghi sardi.
Che si tratti oggettivamente di un’opera dell’uomo
risulta fuor d’ogni dubbio, inoltre non solo la forma
ed il tipo della costruzione, ma anche il ritrovamento di cocci
preistorici entro ed attorno alla stessa cinta muraria, dimostrano
che ci si trova di fronte ad una costruzione della grigia remota
antichità e non di un residuo - eventualmente possibile
- della prima guerra mondiale.
Con questa scoperta, che feci il 26.7.53, è stata dunque
fornita la prova che un tempo gli uomini sono vissuti ed hanno
abitato anche a queste altitudini, mentre per il momento l’entità
complessiva di questo spazio insediativo e la collocazione temporale
dell’insediamento stesso rimangono certamente ancora indefinite.
Tuttavia già ora si può affermare che si tratta
qui di un abitato cospicuo, avente nel “Ciastel”
la sua acropoli, che verosimilmente ricopriva l’intera
area detta oggi Fanes piccola. Questa affermazione è
fondata sul ritrovamento di cocci di ceramica effettuato nei
dintorni della rocca, sulla struttura complessiva del territorio
e sul ricco corpo leggendario che è collegato a questa
regione.
Il ritrovamento di un’ansa di manico in ceramica grossolana
porta a concludere per un insediamento risalente già
all’età del Bronzo. Purtroppo, sulla sommità
della vetta stessa del Ciastel finora non si sono potuti
estrarre dalla terra nera nemmeno minime quantità di
cocci in ceramica o di resti di costruzioni, però al
presente resta fuori questione il punto che, potrei affermare,
è il più importante di tutti, ossia che è
stata comunque dimostrata l’appartenenza del complesso
al novero delle costruzioni preistoriche.
Nei più ampi dintorni della zona di Fanes piccola si
trovano anche diversi esempi di grotte assolutamente rimarchevoli,
che possono essere poste in importante relazione con le presenti
scoperte. Specialmente la grotta a meridione del Ciastel
merita a mio parere particolare attenzione, in quanto essa mostra
di costituire una parte di un pozzo glaciale originariamente
di circa 8 metri di diametro, e somiglia straordinariamente
per grandezza, disposizione e caratteristiche all’insediamento
Stoppani presso Vezzano, nella valle del Sarca, un pozzo glaciale
che fu abitato durante l’età della pietra.
La presente scoperta pone anche in una luce tutta diversa il
ricco mondo leggendario del magico regno di Fanes, ed anche
i numerosi esseri rintanati nel mondo delle montagne, quali
Salvans e Gane,
prima d’ora menzionati solo come figure leggendarie, cominciano
a convertirsi in un ricordo subcosciente di popolazioni di epoca
preistorica la cui esistenza è accertata.
Contrariamente alle concezioni precedenti, che gli insediamenti
preistorici fossero strettamente limitati alle quote più
basse, le scoperte compiute al riguardo in questi ultimi anni
[Burgstall/Sciliar 2510 m (Malfèr),
Schwarzhorn 2439 m (Innerebner), Königsangerspitze°°)
2439 m (Oberrauch) ed il “Ciastel”
di Fanes, con 2657 metri sul mare l’insediamento preistorico
europeo più alto finora accertato], dimostrano che in
Europa non esiste praticamente alcun limite di quota per gli
insediamenti preistorici e che pertanto la ricerca preistorica
di casa nostra dovrebbe assolutamente dedicare maggiore attenzione
ai toponimi d’alta quota riconducibili a città
murate; il “Burgstall” nelle Dolomiti di
Sesto (2218 m), la Laugenspitze^)
(2433 m), la Paganella (2125 m), il gruppo delle Odle^^)
(Caslir!) sono solo alcune di queste località,
che dovrebbero essere prese da oggi in ancor più seria
considerazione come probabili siti di insediamento preistorico.
Compito particolare degli Enti competenti sarebbe anche approntare
i mezzi e far condurre fino in fondo i lavori sul campo, sia
relativamente alle ricerche preistoriche già in precedenza
perseguite, sia in generale, per guadagnare e supportare ulteriormente
nuove conoscenze di così estrema importanza.
___________________
Note:
*)Due
vette del gruppo del Latemar (n.d.t.)
**)Ossia
“rocca in rovina”; è il nome con cui, nelle
carte tedesche, è tradotto il termine ladino “Ciastel”
(n.d.t.)
°)Cioè
domenica, 26 luglio 1953 (n.d.t.)
°°)Sopra
Bressanone (n.d.t.)
^)Nel
gruppo dell’Ortles (n.d.t.)
^^)in
tedesco Geisler (n.d.t.)
______________________
Figure:
Fig.1
Pianta della cinta muraria con edificio centrale
Fig.2 La parte sudoccidentale in buono stato di conservazione
del gigantesco anello di mura (a sinistra del quale sono il
fossato interno e le macerie dell’edificio a torre, a
destra il pendio settentrionale del “Ciastel”
diviso da un avvallamento del terreno).
Commento:
Georg
Innerebner (1893-1974) non fu, dunque, un archeologo professionista
ma soltanto un appassionato (la sua fama è dovuta principalmente
ad un’opera sui castelli dell’Alto Adige ed alla
sua attività di archeoastronomo), e la sua “spedizione”
al Ciastel di Fanes fu soltanto un’escursione
domenicale, compiuta con le figlie.
Purtroppo il suo più sensazionale ritrovamento, la “rocca”,
è stato smentito dai geologi. Ma sono molto interessanti
anche i cocci da lui reperiti in zona; cocci dei quali non ho
nessuna notizia, né circa la loro attuale collocazione,
né circa un’eventuale datazione compiuta con criteri
meno empirici del “sono grossolani, quindi molto antichi”.
La notizia dei reperti fece a suo tempo abbastanza rumore in
Marebbe, e mi risulta che varie persone del posto setacciarono
successivamente la zona (si vocifera che abbiano trovato un
“teschio”, che forse era soltanto un sasso a forma
di teschio). Sembra dunque improbabile che si possa ancora trovare
qualcosa di significativo in superficie. Non mi risulta però
che sia mai stato compiuto alcuno scavo, o assaggio di scavo.