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La saga dei Fanes - approfondimenti

L'Aurona

L'immagine di un popolo che vive perennemente sotto terra senza potrebbe lasciar pensare che l'Aurona fosse vista inizialmente come un mondo dei morti. Tuttavia, alla fine tutti riescono a fuggirne: col che, l'idea che si trattasse di un Aldilà si elimina da sola.

Vi sono, in effetti, numerosi indizi che richiamano direttamente il mondo delle miniere:

- l’alta probabilità che il nome (probabilmente da auramen, tardo latino per "rame"; cfr. Palmieri) indicasse una miniera di rame, e non d’oro;
- l’accenno all’uso delle lampade (cfr. anche il mito della Delibana); nelle miniere preistoriche si usavano infatti piccole lucerne alimentate a grasso animale;
- la diceria, riferita da Wolff nella sua Gita nelle Dolomiti, che il Padon fosse divenuto nero “per i fumi provenienti dalle fornaci dell’Aurona”. E’ ben noto infatti che nella preistoria non solo i forni di prima fusione del rame venivano sempre costruiti accanto ai luoghi di estrazione, ma anche la stessa escavazione avveniva principalmente spaccando la roccia con cicli successivi di forte riscaldamento e brusco raffreddamento. Si noti che questo è un nuovo tentativo (estraneo peraltro alla saga dei Fanes in se stessa) di “spiegare” una particolarità geologica del tutto naturale per mezzo di un fatto leggendario;
- l’insistenza con cui l’Aurona viene citata nella saga dei Fanes, per quanto in origine la leggenda della miniera dovesse esserne completamente avulsa. A ragione o a torto, essa vi compare almeno tre volte (in relazione al lago del tesoro di Canazei, al Vögl delle Velme ed al tradimento del re). Ciò costituisce almeno un forte indizio che l’Aurona predati addirittura la stessa saga dei Fanes;
- il mito dell’Aurona presenta dei significativi parallelismi con la leggenda della Delibana. In quest’ultima, la Delibana è una vergine che deve restare sepolta nella miniera per garantire la fertilità della vena; potrebbe esserne liberata da un principe ma, poiché ciò non accade, finché ella non muore la miniera prospera. Sommavida invece viene liberata dal “re di Contrin”, e quando ciò si verifica la miniera decade irrimediabilmente.

Sono dunque propenso a ritenere che la leggenda dell’Aurona si riferisse in origine all’archetipo di una miniera di rame dell’età del Bronzo, ed abbia avuto origine proprio in quell’epoca sotto forma di mito descrivente in modo velato un’oscura pratica religiosa dei minatori volta a propiziarsi gli “spiriti della montagna”, o meglio le conseguenze in cui si sarebbe potuti incorrere trascurandola.
Conviene peraltro analizzare in maggiore dettaglio anche la posizione geografica da attribuire all’Aurona. La sua collocazione nel Padon appare nelle leggende in maniera insistente e precisa; l’esistenza di un “ru d’Aurona” che scende dal Padon nella piana di Arabba sembrerebbe confermarlo. Tuttavia non si può escludere che il torrente abbia preso viceversa il nome dalla leggenda in epoca ben più tarda (forse per il tramite del “Vögl delle Velme”, ed allo scopo di “spiegare” coi fumi dell’Aurona il colore scuro delle rocce). La geologia della zona non è tale da smentire categoricamente la possibilità dell’esistenza di una miniera, tuttavia oggi lì non affiora alcuna vena di rame, e sinora non esistono neppure prove concrete che effettivamente possa mai essere affiorata in passato.
Vi sono invece molti indizi del fatto che la leggenda dell’Aurona possa legarsi all’Auronzano:
- il nome stesso di Auronzo sembra apparentarsi all’Aurona (Auronzo è citata in un documento del 1188 come Auruncium; non è impossibile che l’etimo sia simile a quello di Lorenzago (Laurentiacum), ossia vada riferito ad un personaggio del tempo dei Romani, però sembra più probabile che abbia effettivamente un’origine mineraria. Del resto attorno ad Auronzo, la cui esistenza in epoca romana è attestata con certezza da scavi recenti, si aprono numerose miniere sfruttate almeno dal medioevo (se ne trova menzione in un documento del re Berengario, X secolo), anche se ne sono stati estratti piombo, zinco e poco argento, non rame nè tanto meno oro (è assai probabile peraltro che nel Medioevo il popolino immaginasse che da qualunque miniera si estraessero a profusione oro e gemme);
- ancor oggi ad Auronzo sembra sussistere l’eco della leggenda di una “Aurona”, intesa come fiume sotterraneo che attraversava le miniere degli gnomi gioiellieri e sbucava tra Auronzo e Misurina;
- come detto, vi è una chiara assonanza fra Sommavida e Sommadida, nome di una foresta nell'Auronzano;
- Wolff stesso afferma esplicitamente di aver sentito parlare per la prima volta dell’Aurona proprio nell’Auronzano, mentre la versione (fassana) della saga dei Fanes fornita da de Rossi non ne fa nessuna menzione (U. Kindl, op.cit.).
Occorre notare in ogni modo che Aurona è chiaramente un appellativo latino o neolatino (la principessa longobarda dallo stesso nome spingerebbe ad inquadrarlo addirittura nell’alto medioevo); questo fatto, unito alla mancanza di oro o di rame in val d’Ansiei, mi induce a sospettare che il nome “Aurona” sia in realtà legato ad una leggenda mineraria auronzana forse inizialmente indipendente, ma di età medioevale e di contenuto del tutto convenzionale. Da qui discendono forse tanto la confusione circa i metalli effettivamente coltivati nella miniera quanto le coloriture ctonie della storia, che in origine non deve aver avuto molto a che vedere col mito arcaico. Quest’ultimo, legato invece a quello della Delibana che Wolff raccolse nel Livinallongo, va invece riferito all’altra zona mineraria della val Cordevole (dove, sia pure già a sud di Agordo, si trovano le grandi miniere di rame di valle Imperina, attive fino al 1962). E da qui l’eco del racconto può ben più facilmente essere transitata anche in val di Fassa; semprechè non si tratti addirittura di un mito comune a tutte le Dolomiti meridionali, dove nelle età del Bronzo e del Ferro l’estrazione del rame, come è archeologicamente provato, doveva essere un’attività relativamente diffusa. Il venir meno di tali lucrose fonti di guadagno, in seguito all’esaurimento della vena, doveva essere un evento duramente risentito dalla popolazione dei minatori. Di qui tanto il desiderio di esorcizzarne l’evenienza praticando dei riti magico-religiosi, quanto l’opportunità di perpetuare i concetti insiti in questi ultimi per mezzo della creazione di un mito.
Se ciò è vero, mi sembra piuttosto verosimile che nel costituirsi della leggenda preistorica della pseudo-Aurona abbia giocato un suo ruolo anche l’eco di qualche fatto remoto realmente accaduto, pur se la collocazione di tali eventi resta completamente avvolta nelle nebbie del tempo. Presumibilmente il racconto originario, legato alla Delibana e quindi, come detto, non all’Auronzano bensì alla val Cordevole, non si riferisce affatto all’episodio specifico della chiusura di una particolare miniera, tuttavia idealizza e condensa sotto forma di mito il ricordo sovrapposto di svariati avvenimenti reali verificatisi in luoghi e tempi diversi.