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La saga dei Fanes - Opere specifiche

H. BIRKHAN, 2000: Tradition und Deutung der Sagen vom Volk der Fanes [Tradizione ed interpretazione della saga del popolo dei Fanes]

in AD GREDINE FORESTUM, 999 - 1999

a cura dell'Istitut Cultural Ladin “Micurá de Rü”, San Martin de Tor

 

Ho “scoperto” l’esistenza del lavoro di Helmut Birkhan sui Fanes solo nel 2006. Leggendolo, mi sono sentito ad un tempo frustrato e felice, perché mi sono reso conto con molti anni di ritardo che altri – e con ben maggiore competenza ed autorità della mia – aveva già pubblicato il nocciolo delle tesi presentate in questo sito, più o meno negli stessi anni in cui iniziavo ad elaborarle. Non mi rimane dunque che togliermi rispettosamente il cappello di fronte all’insigne studioso austriaco, ma al tempo stesso trovo grande conforto nel fatto che la sostanza delle mie tesi possa in larga parte godere del supporto delle conclusioni di un grande e stimato professionista. Infine, mi sento di poter rivendicare – platonicamente - di essere giunto a risultati molto simili ai suoi in modo del tutto autonomo, e con una metodologia che presenta molti punti in comune. Peraltro, non mi risulta che il prof. Birkhan (salvo ulteriori sorprese!) abbia successivamente dedicato altri studi alla saga dei Fanes, e posso dunque illudermi di aver portato, in ogni caso, almeno alcuni contributi originali alla ricerca da lui iniziata.


Il convegno “Ad Gredine forestum

Organizzato dall’Istitut Ladin “Micurà de Rü”, si tenne al palazzo dei congressi di Ortisei nel settembre 1999 per celebrare il millenario della prima comparsa documentale del nome “Gardena” (una donazione di terreni in cui compare per l’appunto la frase “Ad Gredine forestum”).
Gli interventi, seguiti da ampia discussione, furono tenuti in italiano, ladino o (prevalentemente) in tedesco ed ebbero argomenti piuttosto diversi:

  • Moroder L., (ladino): Relazione introduttiva;
  • Alinei M. (italiano): L’etnogenesi ladina alla luce delle nuove teorie sulle origini dei popoli indoeuropei;
  • Riedmann J. (tedesco): L’impianto documentale circa l’anno 1000 “ad Gredine forestum”;
  • Prinoth-Fornwagner R. (tedesco): La Gardena alla luce dell’archeologia;
  • Moroder C. (italiano): Le parrocchie della val Gardena;
  • Goebl H. (tedesco): La val Gardena e la sua lingua;
  • Siller-Runggaldier H (tedesco): La lingua gardenese tra l’idioma, la variante di valle ed il progetto per un ladino dolomitano;
  • Loose R. (tedesco): Gli inizi medioevali della Gardena dal punto di vista della genesi degli insediamenti (inclusi rapporti con la val Badia);
  • Bundi M. (tedesco): Sul popolamento del tratto superiore della valle del Reno anteriore (la val Tujetsch paragonata alla val Gardena);
  • Vicario F. (italiano): Primi documenti per una storia linguistica del friulano;
  • Paci F.R. (italiano): Breve storia del gaelico irlandese;
  • Kindl U. (tedesco): Usignoli incantati e sorci volanti: lo strano mondo delle leggende gardenesi;
  • Birkhan H. (tedesco): Tradizione ed interpretazione della saga del popolo dei Fanes;
  • Chiocchetti F. (italiano): L’etnogenesi ladina: confronto fra la val Gardena e la val di Fassa.

Gli Atti del convegno possono essere richiesti all’Istitut Ladin “Micurà de Rü”, San Martin de Tor (BZ). Di alcuni lavori, oltre al presente, conto di fornire in futuro un riassunto critico su questo sito.

 

Chi è Helmut Birkhan

Nato a Vienna nel 1938, Helmut Birkhan si è laureato in germanistica antica e dal 1972 insegna lingua e letteratura alto-tedesca all’università di Vienna. Dal 1997 è anche professore emerito di celtologia. I suoi svariati interessi comprendono anche la neerlandistica e le leggende arturiane. Affronta tutti questi argomenti con metodologia comparativa, dunque su un fronte culturale molto largo, in contrasto con l’attuale tendenza a specializzarsi in piccoli scomparti chiusi in se stessi. Ha pubblicato numerosi libri, prevalentemente su argomenti legati alla germanistica ed alla celtologia.

 

 

L’interpretazione della leggenda secondo Helmut Birkhan

Birkhan inizia la sua trattazione affermando che il racconto di Moltina, la sposa-marmotta, ricorda molto da vicino due grandi temi leggendari europei, quello dei “figli del cigno” e quello di Melusina. La prima saga, riportata nella letteratura tedesca a partire dal tardo XII secolo, narra di un uomo che cattura (vi sono varie versioni sul modo) una donna-cigno. Questa subisce varie e pesanti umiliazioni, ma gli genera sette figli, che hanno la capacità di mutarsi in cigno. Uno di questi perde la capacità di ritrasformarsi in un uomo, ma li guida tutti grazie alle sue virtù profetiche. A questo proposito, Birkhan segnala come, tanto nell’ambiente culturale germanico-celtico, quanto in India, le figure di donne-uccello acquatico abbiano un carattere decisamente erotico ed un posto di una certa importanza nella mitologia.
Melusina invece è una fata con l’aspetto di una donna, che però ogni sabato assume una coda di pesce/serpente/drago. Il capostipite della casa di Lusignano la sposa, accettando la proibizione di osservarla nel bagno il sabato. La fata gli genera molti figli ma, quando egli vìola il tabù e la guarda nel suo aspetto semianimalesco, la moglie se ne va per sempre, pur mantenendo la sua benedizione soprannaturale sulla progenie ed il casato del marito.
L’analogia fra la tradizione di Moltina e quella di Melusina non è tuttavia un termine di paragone molto valido, poiché nell’Europa antica non si conoscono né dee-serpenti né dee-marmotte (forse con l’eccezione di Echidna, la semianimalesca progenitrice degli Sciti).

Vale la pena invece di prendere in considerazione i concetti del totemismo, contro l’ormai superata opinione di Lévi-Strauss, che lo considerava poco più di “un pregiudizio erudito”. Oggi il totemismo, ossia il ritenere certi animali, piante, cose o elementi astratti come “parenti”, e dunque che è proibito “consumare”, è ritenuto “un senso morale che l’umanità ha posseduto per millenni”.
Si può dimostrare che il totemismo è stato ampiamente diffuso anche in Europa. Una delle prove più conclusive di questo è l’elevato numero di tribù che hanno nomi riconducibili ad animali, “come i celti Brannovices “Lottatori delle cornacchie”, Epidii (Gente dei cavalli), Cornavii/Cornovii (I cornuti) e i medioirlandesi Osraige (Co. Ossory) < *Ukso-rigiom “Regno dei cervi”, o rispettivamente i germanici Ylfingar, Hundingar, Myrgingas “Popolo delle cavalle”, Cherusci “Popolo del cervo”, Lemovii “Gli abbaianti”. Se questo può essere ricondotto ad una mentalità bellicosa eroicizzante, o ad uno stato guerriero estatico metaforicamente animalesco, l’accettazione del totemismo è più sicura dove gli animali-parenti non possiedono connotazioni eroiche, come i britannici Bibroci “popolo dei castori” medioirlandese Bibraige, “regno, gente dei castori”, che hanno una chiara corrispondenza con gli ispanici e bitinici Bebrukes. Così si spiega forse anche la propensione celtica per derivare i nomi di popolo e di persona da connotazioni botaniche: gallico Eburones, “popolo del tasso”, Betulius “figlio di betulla, ecc. Sono invece scarsi i riferimenti a nomi di popolo derivati da “cigno”. La saga di Moltina appare dunque legata a concetti totemistici (anche le figlie di Moltina sono “marmotte”), per quanto il marito si comporti esemplarmente, rispetto ai più tardi esempi franco-tedeschi, e venga quindi premiato con la concessione del regno. La successiva trasgressione del totem porta con sé anche il tramonto dei Fanes.

Birkhan concorda con Ulrike Kindl nell’affermare che il personaggio-guerriero di Dolasilla è stato presumibilmente forzato da Wolff per amore delle leggende eroiche tedesche, e che Dolasilla e Lujanta sono in effetti una persona-marmotta. Tuttavia Birkhan dissente nettamente dalla Kindl quando l’altoatesina considera Dolasilla una cacciatrice e non una guerriera, e dunque la fa diventare una divinità lunare. Egli critica anzi in modo piuttosto pesante il suo voler rappresentare buona parte della leggenda “sui binari della mitologia astrale”.

Si passa poi brevemente ad esaminare il significato delle figure di “bassa mitologia”, le anguane ed i salvani, riportando l’opinione della Kindl, che vi vede una sorta di “personificazione” delle forze primigenie, il bosco e l’acqua, e quella di M.Alinei, che le interpreta come una coppia di moglie e marito in opposizione strutturale. Ma Birkhan avanza il sospetto che in questi personaggi possa sopravvivere il ricordo di forme ancestrali di aggregazione sociale, “le cui radici mitiche e rituali sono disperse nelle leggende di questo genere”. Nelle tradizioni popolari sopravvive più il mito che il rito, poiché vi sono molti miti su cui non è stato fondato alcun rito, mentre praticamente tutti i riti hanno alle spalle un mito, ossia costituiscono la ripetizione di un atto primigenio. Tuttavia spesso non è possibile distinguere se una leggenda popolare sia derivata direttamente da un mito oppure da un rito. La traccia del rito, nelle Dolomiti, si può trovare piuttosto in Spina-de-Mul, evidentemente il risultato di un mascheramento a scopo rituale.
“Che le leggende fondate sul mito possano trasportare dei ricordi storici nell’arco di molti secoli nel quadro dell’antica cultura orale, è dimostrato storicamente di rado, ma almeno occasionalmente di sicuro”. Birkhan cita alcuni esempi di leggende fondate su racconti storici e dimostrate da reperti archeologici, e si domanda se i salvani non possano dunque essere il ricordo di un popolo storico, così come accadde ai giganti nordici ed ai finnici visti come un popolo di stregoni.
Birkhan pertanto tenta di contrapporre alle “meditazioni” della Kindl un’interpretazione storica della leggenda dei Fanes. Esamina anche l'ipotesi di un’interpretazione “politica” dei due totem, marmotta ed aquila supponendo che il “partito delle aquile” fosse un partito pro-romano. Tuttavia la esclude subito, perché la tradizione più antica parlava di avvoltoi, e non di aquile. Il ladino variöl significa propriamente “animale dal mantello variegato”. Il “braccio solo” può essere considerato una demonizzazione. Dunque si tratterebbe di un “clan dell’avvoltoio”. Birkhan rimbecca seccamente la Kindl quando ella propone che la leggenda dei Fanes sarebbe arrivata dall’oriente con le invasioni barbariche. Non vi è ragione per cui il mito non possa essere autoctono, e non si capisce perché un mito importato avrebbe dovuto essere preservato con tanta cura, se si suppone che un mito ancestrale non avrebbe potuto esserlo! “Il carattere modesto ed antieroico della marmotta si esprime direttamente a favore dell’antichità del totem”. Egli conclude: “Non vedo alcuna base per meravigliarsi della trasmissione del totem in linea matriarcale, poiché nel totemismo questo è del tutto normale ed è dunque un indizio dell’antichità e dell’autenticità della tradizione totemistica”, che risalirebbe “al profondo della preistoria dell’Europa antica”. La sopravvivenza di tali concetti ancestrali “nel mito, e quindi nella leggenda, è la prima fonte che alimenta le correnti delle tradizioni”.