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 La saga dei Fanes - Il contesto culturale

La metallurgia

Nella leggenda compaiono alcuni oggetti sicuramente di metallo:

- lo scudo di Ey-de-Net;
- le frecce infallibili di Dolasilla (per la verità, si afferma che sia metallico anche il suo arco, ma questa è certamente una distorsione posteriore: la metallurgia antica non era in grado di produrre un oggetto del genere);
- la corazza della medesima;
- la freccia che la ferisce e quelle che la uccidono;
- le trombe d’argento (e le timpenes attribuite ai Landrines).

Si osservi che tutti e soli questi oggetti vengono definiti “magici”. Siamo dunque in un periodo in cui nelle Dolomiti il metallo era conosciuto ma raro, riservato ad oggetti di grande pregio; di più, l’uso costante della parola “magico” come sinonimo di “metallico” lascia pensare, più che all’attribuzione di virtù esoteriche agli oggetti stessi, ad un diverso significato originario della parola, probabilmente qualcosa di simile a “creato ad arte, non esistente in natura”. Già questo porterebbe ad attribuire la formazione della leggenda ad un’epoca preromana.

La maggior parte degli oggetti metallici che compaiono nella saga, come ci sarebbe effettivamente da attendersi, è costituita da armi. Vi è innanzi tutto da chiarire l'equivoco sugli archi, quello di Dolasilla e quello di Spina-de-Mul, che vengono definiti "magici" e dunque metallici o "d'argento", mentre è chiaro che la metallurgia del tempo mancava delle cognizioni (sulle leghe e sui trattamenti termici per conferire elasticità) necessarie a realizzare un oggetto del genere, qualunque fosse il metallo impiegato. Dunque non l'arco, ma le punte di freccia, sono metalliche: cosa che peraltro consente loro una forza di penetrazione nettamente superiore ai materiali convenzionali (pietra, corno, legno indurito, forse selce o quarzo, a patto di riuscire a procurarsene). Abbiamo azzardato l'ipotesi che la corazza di Dolasilla potesse essere costituita da piastrine di ferro: una delle prime comparse di questo metallo, le cui proprietà e la cui lavorazione dovevano ancora risultare praticamente sconosciute. E' persino dubbio che si riuscisse a raggiungere nei forni una temperatura sufficiente a fondere completamente il ferro per liberarlo dalle impurezze. Infine il pesantissimo scudo di Ey-de-Net, evidentemente fuso in bronzo massiccio, mentre gli scudi "normali" dovevano essere in legno (come saranno ancora per numerosi secoli), al più con finiture in bronzo. La fusione di un oggetto del genere non poteva essere alla portata di un fonditore girovago, bensì richiedere una grande fucina (nell'Iliade, abbiamo un parallelo con lo scudo di Achille, per il quale viene scomodato lo stesso Efesto). Ey-de-Net ricorre più modestamente ai "nani fabbri" che abitavano in fondo alla val di Fassa, più o meno dove oggi abbiamo il paesino di Forno: nome evocativo, anche se nulla sappiamo dell'effettiva esistenza degli artigiani di allora. Un'ultimo accenno va dedicato agli elmi, un particolare che non manca mai nelle raffigurazioni rimasteci dei guerrieri dell'epoca, mentre la leggenda dei Fanes non li menziona affatto. Un unico indizio potrebbe essere fornito dal "diadema", con la Raietta incastonata, con cui il re dei Fanes incorona la figlia sul Plan de Corones. Visto che Dolasilla scenderà sempre in campo con quell'oggetto sul capo, potrebbe darsi benissimo che si fosse trattato proprio di un elmo, magari preda di guerra.

Quanto agli strumenti musicali, va sottolineato che, per ragioni legate alla metallurgia, le trombe “d’argento” possono in realtà essere soltanto di bronzo (con la parola “argento” si intende presumibilmente indicare un qualunque metallo privo del colore giallo-rossastro caratteristico del rame, cui invece ci si riferisce come “oro”). La loro presenza esclude dunque che la leggenda possa essere collocata in un’età precedente quella del Bronzo. Si tratta certamente di oggetti d’importazione, cosa del tutto plausibile in quell’epoca di comprovati traffici mercantili anche a lungo raggio.
Si afferma inoltre che le trombe dei Fanes surclassino sotto tutti gli aspetti le timpenes possedute dai Landrines. Per quanto non ce ne sia nessuna prova, piace quindi pensare che le trombe d’argento dei Fanes possano essere state una coppia di “lur”, vuoi degli esemplari danesi originali, vuoi forse delle imitazioni costruite ad immagine di quelli danesi nella Germania del Nord. Contatti commerciali fra il Mediterraneo e quelle zone nell’età del Bronzo sono archeologicamente dimostrati. I “lur” erano delle trombe di bronzo, costruite in forma di tubo rastremato e ritorto come una zanna di mammut, lungo a volte anche oltre due metri. I due esemplari della coppia erano ritorti in modo specularmente simmetrico. La loro costruzione avveniva per pezzi smontabili e rimontabili, con un procedimento di fusione a cera persa in grado di ottenere spessori sottili fino ad 1 mm. Il loro suono è stato riprodotto, e si è dimostrato che erano dei tromboni tenori in grado di generare tutte le tonalità della scala, con bellissimo effetto armonico soprattutto quando suonavano in coppia.

Nel passare in rassegna la metallurgia nella leggenda, non si può non accennare poi al Vögl delle Velme.
La caratterizzazione di questo personaggio, esperto metallurgo che ha molto girato il mondo, dipinge con esattezza la figura del fonditore girovago dell’età del Bronzo, ancora una volta ben fornita di riscontri archeologici.
Con l’affermarsi del ferro la figura del fonditore girovago sparì e venne sostituita da quella del fabbro ferraio stanziale, e ciò per due buoni motivi: l’aumentata pericolosità delle vie di comunicazione causata dall’avvento di nuovi popoli e l’intrasportabilità delle pesanti attrezzature necessarie alla lavorazione del nuovo metallo.